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Arisa, il bullismo e la cellulite: «Noi famosi non abbiamo vite bioniche»

19 Agosto 2024 - 07:14 Redazione
arisa cellulite bullismo
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La cantante e il brano per il ragazzo suicida

La cantante Arisa ha dato il brano “Canta ancora”, al film “Il ragazzo dai pantaloni rosa”, su Andrea Spezzacatena. E oggi a Repubblica spiega: «Mi chiedono molto brani per il cinema, ma spesso i copioni mi lasciano l’amaro in bocca. Quello di Roberto Proia mi ha fatto piangere tantissimo. È un’esperienza che ricordo con grande intensità, l’essere a scuola, scoprire che la fiducia che riponi in qualcuno viene tradita. Ho rivissuto le piccole cose che accadono agli adolescenti». Ricorda anche di essere stata vittima di bullismo «Sì, ma sono sempre stata fatalista, anche rispetto alle cose negative. Mi dispiace che Andrea non ce l’abbia fatta. Spero che attraverso questo film tanti ragazzi, che si sentono in difficoltà in questa società che ci vuole tutti uguali, possano trovare la forza per amarsi, andare avanti».

La cellulite

Arisa spiega di aver scritto il testo «quando mia madre non stava bene. La gente immagina che noi personaggi famosi abbiamo vite bioniche, invece abbiamo famiglie, una vita normale, siamo fatti di carne, ossa e ciccia. E cellulite. Quando mia mamma non stava bene non sapevo come affrontare la cosa. Difficile diventare genitori dei genitori, anche perché loro non te lo permettono. Non sai come stargli vicino, anche se li ami. La canzone dice questo: se potessi solleverei tutte le tue pene. Nella sceneggiatura ho letto il profondo legame tra Andrea e la madre Teresa. È strano che la canzone l’abbia scritta nel 2012, quando è morto Andrea. L’ho immaginato innamorato di una madre non amata dal marito come meriterebbe, dirle: prenditi cura di te, sei bella ancora, canta ancora. Per tramutare il dolore in resurrezione: con il film Andrea risorge nei ragazzini che non avranno più paura di essere sé stessi».

La comunità Lgbtqia+

Arisa spiega di avere oggi un ottimo rapporto con la comunità Lgbtqia+: «Per me è fondamentale. Sono stata molto fraintesa, in determinati frangenti, da alcuni membri della comunità LGBTQ+. Uno dei dolori più grandi della mia vita. Perché ho fatto della mia diversità una forza e chi mi segue mi ha riconosciuta proprio per questo. Credo che ci debba essere un’isola felice per tutti. La vita non è infinita. È giusto vivere il tempo che ci è stato destinato nella piena gioia, consapevolezza, libertà di essere sé stessi. La società ci deve dare i mezzi per amarci e non sentirci sbagliati». E parla della sua Basilicata: «Sono cresciuta con la cultura della terra, del lavoro, del sacrificio. Non ci aspettiamo nulla da nessuno, sappiamo che dobbiamo rimboccarci le maniche. La Basilicata è un po’ così, la gente è tutta così. E poi l’amore per gli animali. Mio padre li alleva come figli, coltiva lui stesso il cibo che gli dà da mangiare».

La scoperta del talento

Infine, spiega come è diventata consapevole delle sue possibilità: «Ho scoperto che mi piaceva cantare, che attraverso la mia voce esprimevo una parte di me stessa che nella vita quotidiana non riuscivo a tirare fuori. Era una parte più femminile, più grande: l’anima che esce fuori come da un rubinetto e vuole raccontare qualcosa che non appartiene a me, ma a tutti. E divento spettatrice di me stessa».

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