Naufragio Palermo, perché lo yacht Bayesian è affondato al largo di Porticello: l’albero maestro, la secca e il downburst

Oggi riprendono le ricerche dei dispersi. L’indagine della procura. Le ipotesi per spiegare l’affondamento. La tromba d’aria marina e il tornado

Stamattina alle 6.30 ripartono le ricerche dei dispersi del naufragio di Palermo a Porticello, dove lo yacht Bayesian è affondato al largo di Porticello a una profondità di circa 50 metri a causa di una tromba d’aria. Tutto è accaduto verso le 4 del mattino di ieri, 19 agosto. Secondo una prima ricostruzione quando la tempesta ha investito il veliero l’albero si è spezzato e lo scafo è stato rovesciato dal vento e dalle onde, inabissandosi a 50 metri di profondità. Anche se ci sono dubbi sul fatto che questa sia l’unica causa della tragedia. La barca olandese Sir Robert Bp, ormeggiata vicino alla Bayesian, ha messo in acqua un tender per salvare 15 naufraghi. Il suo albero è rimasto intatto. La barca a vela veniva utilizzata per crociere extralusso. Il costo del noleggio era intorno ai 200 mila euro a settimana.


I naufraghi e i dispersi

Secondo il capo della Protezione civile regionale siciliana Salvo Cocina i sei dispersi del naufragio della Bayesian sarebbero il presidente della Morgan Stanley International Jonathan Bloomer, la moglie; l’imprenditore britannico del settore Tlc Mike Lynch, proprietario dell’imbarcazione e fondatore della Autonomy, la figlia diciottenne Hannah, il legale di Linch, l’avvocato Chris Morvillo e la moglie Nada. Gli speleosub sono riusciti ad accedere al ponte di Comando, ma non sono riusciti ad andare oltre per la presenza di suppellettili che ostacolano il passaggio. La moglie di Lynch, Angela Bacares, è tra le 15 persone salvate: nove membri dell’equipaggio e sei ospiti del magnate inglese. Secondo i soccorritori i sei che rimangono dispersi sono rimasti intrappolati nelle cabine dello yacht. La procura di Termini Imerese ha aperto un’inchiesta.


L’albero maestro spezzato

La tempesta ha spezzato l’albero maestro, secondo quanto raccontato dai testimoni. «Il vento era forte, fortissimo. All’improvviso ho visto l’albero maestro del veliero spezzarsi e cadere in mare. È successo tutto in pochissimi istanti», racconta Karsten Börner, il comandante tedesco della Sir Robert Baden Powell. «Era in corso una tempesta. Volevamo spostarci da lì ma non abbiamo avuto il tempo». Il comandante, sceso sul tender della sua imbarcazione, è andato incontro ai naufraghi riuscendo a salvarne 15: «Ma quando siamo tornati non c’era più nessuno in acqua». Ora il Bayesian si trova in fondo al mare con 18 mila litri tra combustibile e olii. L’albero dello yacht era in alluminio ed era alto 75 metri, il secondo al mondo. La nave era lunga 56 metri. La rottura ha fatto inclinare l’imbarcazione, riempiendola d’acqua. «Abbiamo sentito un rumore di vetri rotti», racconta una superstite.

L’ipotesi della secca e la falla nello scafo

C’è però un’altra tesi che potrebbe spiegare il naufragio. La Stampa dice che gli investigatori si stanno chiedendo se una burrasca con un vento dai 70 ai 90 chilometri l’ora possa abbattere un albero maestro. A indagare è la procura diretta da Ambrogio Cartosio. Una delle ipotesi è che la rottura non sia stata provocata dalla tromba d’aria ma da un fenomeno meteorologico chiamato downburst. Caratterizzato da venti che impattano sulla terra e sul mare a velocità che possono superare i cento chilometri l’ora. Le raffiche riescono a raggiungere i 150. Sotto la lente anche un poco probabile difetto di fabbricazione dell’albero. Oppure quella dell’impatto della deriva (la parte sotto dell’imbarcazione) del Bayesian con la Secca della Formica che si trova proprio di fronte al porticciolo. Dai 60 metri di profondità la secca raggiunge con due punte la superficie del mare.

Il vento, lo yacht, l’affondamento

Secondo questa tesi il vento ha spostato lo yacht provocando così lo scontro della secca con lo scafo. E aprendo una falla che avrebbe fatto inclinare il veliero fino a farlo affondare. Il meteorologo Paolo Sottocorona dice a Repubblica che l’affondamento di una barca di 50 metri per il maltempo lo ha sorpreso: «Il mare caldo sembra piacevole, ma il calore dal punto di vista fisico è energia. Il Mediterraneo in questo momento è una tanica di benzina. Se ci metti un fiammifero, cioè una corrente di aria fredda come quelle di questi giorni, lui esplode». Sottocorona, che è anche istruttore di vela, spiega che «più il mare è caldo, più le trombe d’aria sono forti. Le trombe d’aria più distruttive un tempo colpivano una volta ogni cento anni. Ora ne vediamo una o più per ciascun anno. Anche i modelli meteorologici fanno fatica a prevedere eventi così intensi».

Le trombe d’aria e il downburst

Sottocorona spiega anche cosa può fare chi va in mare: «Di fronte a una tromba d’aria, girare alla larga appena la avvista. Le trombe d’aria non si spostano a grandi velocità, 50 o 60 chilometri all’ora, ma attorno a sé hanno venti che arrivano a 300 chilometri all’ora od oltre. È come essere investiti da un treno. Se dovesse succedere bisogna togliere subito le vele, chiudere ogni oblò, far legare tutto l’equipaggio e sperare che lo scafo regga. A me è capitato di vederne una mentre ero in barca vicino al Giglio e sono scappato. Ma di notte, all’improvviso, come al Bayesian, in effetti è una situazione difficile». Chi naviga, quindi, deve essere prudenti «quando rompe il tempo a Ferragosto, il mare è caldo e le temperature sono elevate come quelle della Sicilia nei mesi scorsi».

Il tornado a 100 km l’ora

E aggiunge: «Ma poi se sei in vacanza è chiaro che non vuoi restare in porto. Anche perché il maltempo di questi giorni è arrivato dopo un’estate quasi senza vento per chi va in barca a vela. Quello che chiamiamo anticiclone africano è un campo di alta pressione che in realtà è centrato proprio sul Mediterraneo. E lì l’aria è quasi ferma».

Mario Tozzi su La Stampa spiega invece che una tromba marina «è un vortice d’aria che investe la superficie marina e non arriva a terra, senza per questo dover essere declassato a fenomeno di entità trascurabile, per quanto siano rarissime le testimonianze di vascelli di dimensioni cospicue sollevati in aria sul mare. La si identifica con certezza solamente nello stadio 4 del suo ciclo vitale, quello del “vortice maturo”. Dubbi sono invece gli avvistamenti della fase di decadimento finale (stadio 5) e, soprattutto, degli stadi iniziali, dalla “macchia scura” all’“anello di spruzzi”.

Che cos’è una tromba marina

Il geologo e divulgatore scientifico spiega che la tipica forma a imbuto «si deve al fatto che, nella parte superiore della colonna, l’aria in ascesa si espande, provocando un aumento dell’umidità relativa e della condensazione». Invece, i tornado propriamente detti «sono tra le perturbazioni meteorologiche più violente che si possano scatenare in natura. Sono sempre locali (con un diametro compreso fra 150 e 600 metri) e di breve durata (percorrono al massimo 25 km prima di esaurirsi) e si spostano a circa 50 km/h, ma la velocità del vento può addirittura superare i 600 km/h e l’energia è tale da fare “deflagrare” le abitazioni». Negli Stati Uniti se ne registrano circa un migliaio l’anno. In Italia molti meno: circa venticinque negli ultimi dodici mesi». Un numero probabilmente sottostimato.

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