Scontro Salvini-Tajani sullo Ius scholae, ma Piantedosi apre: «La discussione va affrontata»
È un’apertura. Seppur timida, ma rimane pur sempre un’apertura. Il tema dello Ius scholae fa da padrone al meeting di Comunione e Liberazione a Rimini. E il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi spiega che il problema c’è, che va affrontato e approfondito: «Non vorrei anticipare discussioni che in questi giorni sono un po’ complicate, ma bisogna porsi il problema di come rendiamo “i migranti nostri cittadini”». Dallo stesso evento, in un punto stampa, arriva anche la chiusura del ministro delle Infrastrutture e leader della Lega Matteo Salvini: «Legge che funziona non si cambia».
Le posizioni della maggioranza
Tutto ero iniziato con la pallavolista e vincitrice dell’oro olimpico Paola Egonu. Era proseguito con il murale che la street artist Laika le aveva dedicato e poi con le polemiche successive alle parole del generale Roberto Vannacci. Ma il tema dello Ius scholae, ovvero una legge che renda cittadino italiano qualsiasi persona straniera che concluda almeno un ciclo scolastico nel nostro Paese, aveva messo in fibrillazione anche la maggioranza. Da una parte il ministro degli Esteri Antonio Tajani riconosceva il cambiamento in atto nel nostro Paese e quindi la bontà della norma, rivendicata perché inclusa nei programmi del defunto leader di Forza Italia Silvio Berlusconi. Dall’altra il “No” di Salvini, ribadito ancora a Rimini: «Non è una priorità, non è nell’agenda di governo. L’Italia è il Paese europeo che concede più cittadinanze di tutti. Concediamo più cittadinanze a cittadini stranieri rispetto alla Francia, alla Spagna, alla Germania. Quindi legge che va bene non si cambia». Su questo concorda lo stesso Piantedosi: «Credo però – ha aggiunto Piantedosi – che questa discussione vada fatta scevra da condizionamenti ideologici. Bisogna partire da un dato: la nostra legislazione è quella che consente il maggior numero di concessioni n tutta Europa. Siamo il Paese al primo posto per concessioni in termini assoluti di cittadinanze. In alcuni casi arriviamo quasi al doppio di Paesi come Germania e Francia». Ma spiega il ministro dell’Interno: «Non abbiamo quindi un quadro di chiusura totale».
«Non soddisfare solo i bisogni primari»
Il ragionamento di Piantedosi si allarga dal semplice resoconto numerico: «Bisogna dare soddisfazione a quella tendenza di ogni persona di trovare un ruolo e sentirsi utile nella società». E aggiunge che la sostenibilità dei processi migratori «si nutre anche del fatto che si tratta di persone di cui dobbiamo immaginare la centralità nella società da qualsiasi parte provengano». «Non basta dare soddisfazione solo ai bisogni primari», continua il ministro, «ma bisogna porsi il problema di come rendere queste persone “nostri cittadini”». E conclude: «Se questa discussione serve ad aggiornare il panorama delle valutazioni che un Paese come il nostro deve fare su questo tema importante dei nuovi cittadini, va benissimo e va fatto. Secondo me la discussione che è stata sollevata deve servire ad aprire una valutazione che dev’essere anche un po’ tecnica: farlo alla luce di dati concreti e realistici potrebbe aiutarci non a negare il problema e a respingerlo al mittente, ma aiutarci a fare qualcosa di più mirato e importante per le nostre esigenze, che sono di massima integrazione delle persone che arrivano. Sono esigenze non solo economiche, ma anche alloggiative, culturali e di adesione. Interroghiamoci su cosa serve a completare un percorso che in Italia ha portato ai risultati che abbiamo oggi».
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