Stellantis, il segretario della Fiom De Palma e le parole di Urso: «È vero, Tavares ha chiesto e il governo ha fatto. Ma ora se ne occupi anche Meloni»
Hanno fatto rumore le parole con cui il ministro del Made in Italy Adolfo Urso ha attaccato, dal Meeting di Rimini, Stellantis e il suo ad Carlos Tavares, accusandoli di non aver rispettato i patti, circa l’obiettivo di produrre un milione di veicoli in Italia, e minacciando che se il progetto della Gigafactory di Termoli non dovesse partire i soldi Pnrr finiscano altrove per colpa loro. E, a sorpresa, il segretario generale della Fiom – Cgil, Michele De Palma, non smentisce le parole di Urso anzi rilancia: «Il governo ha fatto la sua parte ma se l’azienda non si muove deve intervenire palazzo Chigi. Sì a nuovi investitori», dice a Open.
Segretario De Palma, come giudica le parole del ministro Urso sul caso Stellantis? E’ vero che il governo ha rispettato gli impegni chiesti dall’azienda per arrivare ad un milione di auto prodotte?
«Voglio dare un elemento di ricostruzione visto che Urso ha parlato anche di Costituzione e ruolo dell’impresa. Dopo la nascita del governo Meloni, il 2 giugno 2022, siamo andati in pullman, con un gruppo di lavoratori e delegati davanti alla sede di Stellantis in Francia, a Poissy, a parlare della Costituzione italiana e del ruolo sociale delle imprese. Avvertii in quella occasione anche il governo e il ministro Urso ha poi raccontato che al primo suo incontro con Carlos Tavares gli regalò una copia della Costituzione. Credo che abbiamo dato un utile spunto al governo e mi fa piacere».
Non è bastato, però, a quel che dice Urso…
«I problemi dell’auto italiana non iniziano certo con Stellantis, sono 12 anni che i dipendenti del gruppo fronteggiano cicli di cassa integrazione ma ora siamo al punto che la dismissione dell’azienda non sembra più impossibile. Non c’è stabilimento che non sia in cassa integrazione e Tavares investe soldi quasi solo per incentivare all’esodo e fare altra cassa».
Ma è vero che Stellantis aveva fatto delle richieste al governo e il governo ha fatto la sua parte per arrivare al milione di veicoli prodotti in un anno?
«Sì, Tavares ha chiesto e il governo ha fatto. Risultato? Stiamo peggio di prima. I 950 milioni investiti in bonus non hanno favorito la produzione italiana ma quella di altri paesi. Da noi è aumentata la cassa integrazione, invece».
Quanti sono i lavoratori coinvolti?
«Al momento gli addetti sono 34.000. Dal 2014 ad oggi sono andati via 11.500 dipendenti, di cui 2.800 dagli enti centrali, vale a dire anche sviluppatori e impiegati che sono il cervello dell’azienda. Il calo della produzione nel primo semestre 2024 è stato del 29,2% rispetto all’anno prima».
Il settore però presenta elementi di crisi, la transizione all’elettrico crea problemi anche ad altre aziende non solo da noi.
«Stellantis non è affatto un’azienda in crisi. Basta guardare i bilanci, i profitti e i dividendi sono stratosferici. L’impressione è, al contrario, che Tavares stia tirando la corda il più possibile, forse anche perché non è chiaro quanto durerà ancora il suo incarico, per ottenere i migliori risultati possibili in termini finanziari. Ma a forza di tirare unicamente in quella direzione rischia di ammazzare il cavallo che corre. Già oggi, ogni mese, mille operai lavorano per pagare il suo stipendio ma, nonostante tutti gli annunci, a partire dal veicolo presentato al Lingotto che faranno altrove, sull’Italia non ci sono strategie. Né sull’auto di massa, storicamente la più forte, né sul lusso. Anche la Maserati ha volumi di produzione ridicoli».
L’azienda ieri ha replicato che la centralità dell’Italia è tra le priorità assolute.
«L’analisi non è solo mia, anche le imprese della componentistica sono d’accordo. Tavares parla di rapporti positivi e conflittualità bassa, ma non è così: le mobilitazioni sono continue e a Torino abbiamo fatto uno sciopero unitario portando in piazza anche le aziende dell’indotto».
E l’impegno a costruire la Cinquecento ibrida a Mirafiori dal 2026?
«E’ un bene che sia prodotta a Torino ma questo non risolve il problema di Mirafiori. La 500 ibrida non ha volumi di massa, non è con quella che raggiungeremo l’obiettivo di 200 mila vetture a Torino».
Parliamo di Termoli: il ministro dice che manca il progetto per la gigafactory e si rischiano i fondi Pnrr che potrebbero andare altrove, Stellantis dice che è questione di poco. A lei cosa risulta?
«Partiamo dal primo dato produttivo: Francia, Germania e Spagna hanno da tempo la loro fabbrica di batterie, noi no. Perché? Perché produciamo poco, quest’anno rischiamo di andare ben sotto i 500mila veicoli annui. Per questo riusciamo a fare senza e perdiamo tempo a dire quando e se si farà la gigafactory. Ma il settore così non regge e davvero rischiamo la dismissione».
Serve un secondo produttore?
«Io penso che serva da anni e che l’Alfa Romeo non doveva andare alla Fiat, si figuri. Sempre Germania, Francia e Spagna hanno più aziende e producono più di un milione di veicoli per paese. Noi avremmo la capacità produttiva e di ricerca e sviluppo per due milioni, se volessimo».
Chi potrebbe essere il secondo investitore? Un’azienda cinese, come dicono?
«Per noi se rispettano i contratti e si lavora vanno bene tutti. Anche perché se vanno altrove ci perdiamo due volte. In ogni caso, ed è qui che mi aspetto di più dal ministro Urso, non è che se non lo fa il consorzio Acc (di cui fa parte Stellantis ndr) l’azienda non si fa. Il governo deve convocare Stellantis e, se non ci sono risposte, cercare attivamente nuovi investitori. La questione va portata a palazzo Chigi con l’interessamento diretto della premier Meloni. Questo botta e risposta deve diventare un tavolo in cui si trovano risposte per il comparto, i lavoratori non possono essere ostaggio di schermaglie. I rapporti tra sindacati e azienda sono tesi anche altrove, guardiamo agli Usa. Il settore automobilistico è la punta di diamante della produzione industriale metalmeccanica, negli anni ’90 l’Italia si sfidava con la Germania per veicoli prodotti, ora siamo sotto la Repubblica Ceca.
Per questa ragione vogliamo un negoziato a Palazzo Chigi che utilizzi le risorse per rigenerare il lavoro e investire nella ricerca, sviluppo e produzione. Senza risposte concrete decideremo con i lavoratori le iniziative da mettere in campo perché noi siamo quello che difendono l’industria e la sua transizione giusta socialmente».
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