Kamala Harris raccontata dal suo biografo: «Spesso sottovalutata ma i repubblicani la temono dal 2010» – L’intervista

Dan Morain commenta con Open la convention democratica appena conclusa

Dan Morain ha seguito la carriera di Kamala Harris fin dall’inizio. Durante i suoi 40 anni da reporter specializzato in politica e giustizia in California ha incrociato molte volte nelle aule di tribunale l’ambiziosa e ferma procuratrice, da lui ben descritta nella biografia non-autorizzata del 2021 “A proposito di Kamala” (Solferino). Il giornalista risponde a Open da Chicago, dove ha partecipato alla convention democratica che ha formalizzato – tra migliaia di palloncini e molto entusiasmo – la nomina di Harris a candidata alla presidenza degli Stati Uniti.


A proposito di Kamala, Dan Morain (ed. Solferino, 2021)

Iniziamo dal discorso di Kamala Harris alla convention. Che voto le dà?


«Ha fatto quello che doveva: presentarsi agli elettori. Ha raccontato la sua storia e mostrato i temi su cui intende giocare la sua campagna elettorale. Penso sia stato davvero un ottimo discorso».

La parte più forte e quella più debole?

«Francamente non credo che abbia commesso alcun passo falso. È stato un discorso molto netto e ha affrontato tutti i punti che doveva toccare. Mi è piaciuta particolarmente l’enfasi che ha messo sulla difesa dei diritti riproduttivi: sarà un argomento cruciale della campagna elettorale, che i candidati uomini non considerano abbastanza. Penso che sia stata brava a non sottolineare il fatto di essere una donna e nera: è l’unica cosa che vediamo tutti. Ha mostrato invece quello che molti non sapevano».

Ovvero?

«Che Kamala Harris è una leader tosta, pragmatica e di buon senso sugli argomenti che stanno a cuore alle persone. Per quanto riguarda la politica estera, argomento spinoso per l’amministrazione di cui fa parte, è stata molto chiara sul supporto all’Ucraina e a Israele ma ha anche parlato di un cessate il fuoco immediato e delle vittime di Gaza. Gli americani quando votano non pensano agli affari internazionali, ma un candidato deciso sulle questioni di politica estera equivale a un leader affidabile e in grado di guidare i nostri soldati. Donald Trump cerca di screditarla dicendo che i presidenti stranieri la vedranno come una marionetta, cosa peraltro molto sessista. Harris a Chicago gli ha risposto».

Hillary Clinton enfatizzava molto la questione di genere, Kamala Harris ha pronunciato solo una volta la parola donna in tutto il suo discorso ed era riferita a sua madre.

«Anche Obama parlava molto poco di razza. Ricordo un unico discorso molto importante sul tema. Credo che Kamala stia prestando molta attenzione a come Obama si è mosso sui temi identitari».

Cosa pensa della definizione “Barack Obama donna”. Vede similarità tra i due?

«Innanzitutto Obama non è affatto il suo mentore, come alcuni dicono. Si sono aiutati molto nel loro percorso: la vice presidente ha raccolto fondi per lui quando era un giovane senatore dell’Illinois e poi per la sua campagna presidenziale. E Obama l’ha aiutata quando correva per il ruolo di procuratore generale della California. Tanti pensavano che Harris avrebbe perso la sfida ma non Obama, che da presidente la appoggiò apertamente come sua candidata. Sono convinto che lui e Michelle faranno di tutto per vederla alla Casa Bianca perché credono in lei ma soprattutto perché temono troppo un secondo mandato di Trump. Sono entrambi birazziali e sono entrambi avvocati ma hanno portato avanti la professione in maniera molto diversa: lei diventando procuratrice, lui prima in un piccolo studio di Chicago e poi all’università. Le similitudini finiscono qua. Obama è unico, di talenti politici così ne nascono uno per generazione. Forse è unica anche Kamala Harris ma questo potremo dirlo solo se vincerà. Se diventerà presidente, potrà scrivere un capitolo molto importante per l’America. Se perderà, chissà cosa sarà di lei. Sta correndo come fosse un underdog. Trump la sottovaluta e commette un errore come tanti prima di lui. Questa è una caratteristica di Kamala Harris: viene spesso sottovalutata ma spesso vince».

L’Economist ha scritto che alla convention la re-invenzione di Kamala Harris si è compiuta. Quella che fino a 3 mesi fa era considerata una politica debole, estremista e invisibile ora è un leader capace di incantare le masse. Dove sta la verità?

«Tutto il partito si è unito intorno a lei perché si è unito contro Trump. Penso che Donald Trump sia stato il migliore strumento organizzativo del partito democratico. Ma Harris può davvero parlare a tutto il partito: è liberal ma non radicale. La definirei mainstream. C’è anche da dire che l’ala più estremista del partito conta molto poco».

La pressione che esercitava nel 2016 era più forte. All’epoca Bernie Sanders sembrava un candidato credibile per molti, che poi non votarono per Clinton.

«Onestamente non credo che i socialisti democratici siano mai stati davvero una forza politica nel partito. I cittadini americani vogliono essere innanzitutto liberi. Non vogliono pensare a Washington. Vede, questo è uno dei paradossi di Trump: porta gli americani a pensare sempre al governo, te lo sbatte sempre in faccia. Guardi Biden: possono passare settimane senza una comunicazione da Washington. Credo che lo stesso succederà con Kamala Harris se sarà eletta. All’inizio ci sarà molto attenzione per un risultato storico da tanti punti di vista, ma poi lei si chiuderà nello studio ovale e i cittadini ricominceranno a farsi gli affari loro».

Lei ha seguito la carriera di Kamala Harris fin dall’inizio. C’è stato un momento in cui ha pensato che sarebbe potuta arrivare dove è oggi?

«Durante la corsa per procuratore generale della California nel 2010. I repubblicani avevano investito 1 milione di dollari in pubblicità per provare a bloccarla alle primarie. Avevano capito che andava fermata subito altrimenti sarebbe diventata un problema in futuro. Avevano ragione: i repubblicani l’hanno vista arrivare».

Quanto durerà la luna di miele con il partito democratico?

«Di sicuro fino al 5 novembre. Ci sono 6 o 7 Stati che decideranno le elezioni: Arizona, Nevada, Michigan, Pennsylvania, Wisconsin, North Carolina, Georgia. E lì lotta sara dura, il partito deve essere unito».

Harris è spesso accusata di essere vaga sul programma di governo. L’unica volta in cui ha annunciato un’azione concreta – bloccare l’aumento dei prezzi – è stata molto criticata. Possiamo aspettarci che nelle prossime settimane diventerà più concreta?

«Io penso che da questo punto di vista farà il minimo indispensabile. Harris vuole che la campagna sia molto disciplinata e controllata. Sto lavorando a un aggiornamento della biografia, e sto provando a incontrare lei e le persone che lavorano con lei ma è impossibile. Non succederà e lo capisco perché vuole controllare tutte le conversazioni da qui al 5 novembre. Questa è la politica. Tuttavia sappiamo dove è su molti temi: dall’aborto alle armi. Di sicuro i repubblicani la criticheranno per la gestione dei confini e per l’inflazione. Lei risponderà con la cattiva gestione del Covid da parte di Trump. Non darà dettagli sul programma a meno che non sarà costretta».

Cosa possiamo aspettarci nei prossimi due mesi? Che campagna sarà?

«Due mesi fa avremmo mai immaginato la situazione in cui siamo oggi? Il terribile dibattito, il tentato assassinio di Trump, Tim Walz vicepresidente – nessuno conosceva Tim Walz fuori dal Minnesota! – o JD Vance che parla di “gattare” da candidato vicepresidente repubblicano? Con questi precedenti non so davvero cosa aspettarmi nelle prossime settimane: di sicuro saranno montagne russe».

(in copertina Kamala Harris durante la Democratic national convention (DNC) a Chicago, Illinois, 22 August 2024. Foto Ansa/EPA/CAROLINE BREHMAN)

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