Ius soli (che non c’è) e ius scholae, iI dibattito sulla cittadinanza non è solo italiano: le strade (diverse) di Francia e Germania

L’Italia e il dibattito sulla cittadinanza: uno sguardo sulle riforme e sui modelli di integrazione nei diversi Stati membri

Nessuno Stato membro dell’Unione europea applica lo Ius Soli puro. In queste settimane, è tornato prepotentemente al centro della scena politica italiana il dibattito sulla cittadinanza, risvegliando un tema che sembrava in parte sopito. Dopo un periodo di relativa calma, la discussione su Ius Soli e Ius Scholae si è riaccesa con vigore. La scintilla che ha riattivato il dibattito è stata l’apertura di Forza Italia verso lo Ius Scholae, che ha da subito scatenato la furia della Lega. Il partito di Salvini, con una dichiarazione netta e polemica sui social, ha respinto con fermezza qualsiasi cambiamento della legge vigente, bollando come inaccettabile l’idea di una riforma che possa avvicinare l’Italia a modelli di cittadinanza più inclusivi e permissivi. La Lega ha accusato Forza Italia di allinearsi con il Partito Democratico e la sinistra, entrambi favorevoli allo Ius Soli, mentre il partito di Berlusconi ha sostenuto la necessità di modernizzare il sistema, proponendo una soluzione basata sul percorso scolastico o culturale, attraverso lo Ius Scholae o lo Ius Culturae. Il dibattito sulla cittadinanza, però, non è solo italiano: in altri Paesi europei la questione ha suscitato discussioni simili, portando anche a riforme significative. Mentre la Francia ha scelto una strada più rigorosa, la Germania ha puntato su un’integrazione più rapida. Queste riforme, pur diverse nelle loro impostazioni, simboleggiano le tensioni e le sfide comuni che i Paesi europei stanno affrontando nel gestire le politiche legate all’integrazione.


La riforma restrittiva in Francia

Nel 2023, la Francia ha introdotto una significativa riforma anti immigrazione, che ha inciso sulle modalità di acquisizione della cittadinanza e provocato profonde divisioni all’interno del partito del presidente Emmanuel Macron. Questa stretta normativa è arrivata in un contesto politico in cui la destra radicale era in forte ascesa, facendo presagire un ottimo risultato alle elezioni europee (come poi di fatto è stato). Una delle modifiche più rilevanti riguarda i migranti di seconda generazione, ossia quei bambini nati in Francia da genitori stranieri. Un tempo, questi giovani acquisivano automaticamente la cittadinanza francese al compimento della maggiore età (18 anni). Con la nuova riforma, però, le cose sono cambiate: ora, per diventare cittadini francesi, devono presentare una richiesta formale tra i 16 e i 18 anni. Questa modifica avvicina così la Francia al modello italiano, dove un cittadino straniero nato in Italia e che vi ha vissuto stabilmente non ottiene automaticamente la cittadinanza, ma deve presentare una richiesta entro un preciso arco di tempo. Inoltre, le persone con doppia cittadinanza condannate per gravi reati possono perdere quella francese.


L’apertura della Germania

Mentre la Francia ha scelto una linea più restrittiva, la Germania si è mossa nella direzione opposta, facilitando l’accesso alla cittadinanza per i residenti stranieri. Nel mese di gennaio, infatti, la Germania ha ridotto il tempo minimo di residenza richiesto per chiedere la cittadinanza da otto a cinque anni, a condizione che il richiedente dimostri una buona padronanza della lingua tedesca. Chi mostra un forte grado di integrazione nella società, sia tramite successi notevoli nel lavoro o nello studio, sia attraverso un impegno significativo nel volontariato, può ottenere la cittadinanza tedesca dopo appena tre anni di residenza. Inoltre, ora è possibile mantenere più di una cittadinanza. Questa riforma tedesca, pur essendo rivolta principalmente agli adulti, ha anche un impatto significativo sui minori. I figli di un genitore che acquisisce la cittadinanza tedesca diventano automaticamente cittadini.

Come funziona negli altri paesi europei

Italia: il dibattito si riapre

In Italia, la cittadinanza è prevalentemente regolata dal principio dello Ius Sanguinis, come stabilito dalla legge 91 del 1992. Questo principio prevede che un bambino acquisisca automaticamente la cittadinanza italiana se almeno uno dei genitori è cittadino italiano, indipendentemente dal luogo di nascita. Tuttavia, è previsto anche lo Ius Soli, ovvero l’acquisizione della cittadinanza per nascita sul territorio italiano, ma limitato a circostanze specifiche: si applica solo ai figli di genitori sconosciuti, ai figli di genitori apolidi (senza cittadinanza) e ai figli di genitori stranieri che, secondo le leggi del loro paese d’origine, non possono trasmettere loro la cittadinanza.

Per i minori arrivati in Italia, la cittadinanza può essere ottenuta attraverso il principio della naturalizzazione. Al raggiungimento della maggiore età, uno straniero può richiedere la cittadinanza se ha accumulato almeno dieci anni di residenza legale continua. Tuttavia, il processo di naturalizzazione è noto per essere complesso, oneroso e lungo, rendendo difficile per molte famiglie completare la procedura.

Da anni c’è dibattito politico e sociale sulla questione. Da un lato, i sostenitori di maggiore inclusività evidenziano l’importanza di riconoscere la cittadinanza ai giovani che sono cresciuti e si sono integrati nella società italiana; dall’altro, i critici temono che una liberalizzazione eccessiva delle norme possa minacciare l’identità nazionale e incoraggiare l’immigrazione clandestina. E ora il confronto non coinvolge solo destra e sinistra, ma anche gli stessi alleati di centrodestra del governo.

Spagna: la cittadinanza con tempi variabili

In Spagna, vige lo Ius sanguinis, ma la naturalizzazione è possibile dopo dieci anni di residenza legale e continuata, ma i tempi si riducono a: cinque anni per coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato, due anni per i cittadini d’origine dei Paesi ispano-americani, per quelli di Andorra, Filippine, Guinea Equatoriale, Portogallo e per i sefarditi, e un anno per gli stranieri nati sul territorio spagnolo.

Olanda: tra residenza e legami familiari

Un bambino straniero può acquisire la cittadinanza o al compimento dei 18 anni, a condizione che abbia vissuto nei Paesi Bassi per almeno cinque anni senza interruzioni e possieda un permesso di soggiorno valido, oppure se è nato da almeno un genitore che risiede stabilmente nei Paesi Bassi.

Belgio: un sistema di inclusione graduale

In Belgio, gli stranieri possono acquisire la cittadinanza se sono nati sul territorio nazionale e se, al momento del compimento dei 18 anni, hanno vissuto nel paese per almeno tre anni. Inoltre, i bambini nati in Belgio da genitori che sono residenti nel paese da almeno dieci anni ottengono la cittadinanza al compimento dei 12 anni.

Ungheria e Polonia: la strada stretta della cittadinanza

In Polonia e Ungheria, l’accesso alla cittadinanza è regolato da politiche piuttosto restrittive, entrambe basate principalmente sul principio dello Ius Sanguinis. In Polonia, la cittadinanza si acquisisce automaticamente se almeno uno dei genitori è cittadino polacco, mentre per i nati da genitori stranieri non esiste alcuna forma di Ius Soli. In aggiunta, la cittadinanza può essere concessa a chi è nato sul territorio polacco da genitori sconosciuti o apolidi. La naturalizzazione richiede almeno tre anni di residenza legale e permanente, se dimostrano un buon legame con la Polonia e una conoscenza adeguata della lingua polacca (livello B1). L’Ungheria adotta un approccio simile, fortemente ancorato all’identità etnica. Qui, la cittadinanza è riservata principalmente ai discendenti di cittadini ungheresi. La naturalizzazione è possibile dopo otto anni di residenza continuativa, ma con requisiti stringenti, come la padronanza della lingua ungherese, il superamento di una prova sui contenuti basilari della costituzione, se economicamente autosufficiente. Entrambi i paesi dimostrano un forte orientamento verso la preservazione della loro identità nazionale, limitando l’accesso alla cittadinanza per i residenti stranieri.

Leggi anche: