Dalla scommessa di «Sotto questo sole» al perché Cremonini ha scritto «50 Special»: la top ten dei tormentoni anni Novanta – La serie

Piotta – Supercafone (1999)

Viserbella, frazione di Rimini, estate 1998, un giovane Tommaso Zanello non dorme da 48 ore filate, tenta inutilmente di montare una tenda ma rinuncia subito, ha un ginocchio sbucciato, si accascia sul prato all’ombra di un tiglio, guarda il cielo e viene colto da un’illuminazione che gli cambierà la vita per sempre. Un’illuminazione che in realtà aveva già bussato alla porta il giorno prima, mentre stava stipato con gli amici in un minibus tirando fuori tutti i luoghi comuni relativi al tamarro romano in vacanza. Poi si manifesta ufficialmente e direttamente sul palco, in una jam, e che poi viene nuovamente rispolverata qualche giorno dopo in cameretta, a Roma, mentre i genitori guardano la tv. Lo scrive lo stesso Zanello, che si apprestava in quel momento a diventare definitivamente il Piotta che tanto amiamo, nel suo libro Il primo re(p): Alle origini del rap italico. La prima versione di Supercafone viene incisa in un bagno 2mq x 1mq in un sotto negozio di via Val di Chienti n° 71, Roma naturalmente, zona Conca D’Oro, perché lo studio era ancora in costruzione ma non era possibile aspettare. Supercafone doveva essere solo un divertissment, che però metteva in mostra le potenzialità di un genere che in Italia ancora viaggiava raramente su circuiti mainstream, in quel determinato momento storico infatti se si parlava di rap venivano in mente solo Jovanotti e gli Articolo 31, il largo pubblico non era a conoscenza delle varie scene che stavano cominciando a popolare in maniera importante Roma e Milano. Supercafone è un brano talmente (e volutamente) estremo che fa il giro e diventa intellettualismo puro, un’analisi della società, specie romana è chiaro (ma non solo), spietata, cinica e tristemente reale. Era un’Italia sull’orlo dell’abisso dei reality, quell’ottimismo degli ’80 si era esaurito, si era espresso in tutte le sue forme rimanendo privo di concetti, rivelando quell’orrenda plastificazione culturale, forse anche per questo di lì a pochi mesi si sarebbe aperta la stagione del nulla cosmico. Supercafone fu uno degli ultimi sussulti di una sostanza, un carattere, che la musica italiana, salvo sempre più rari casi, andrà a perdere. Il brano, che vanta uno dei più geniali videoclip della storia della musica italiana, pensato dai mitici Manetti Bros e interpretato da un magistrale Valerio Mastandrea, ebbe un successo stratosferico perché completo. Supercafone infatti è un brano divertente, genialoide, prevedeva un balletto semplice e coinvolgente, ma soprattutto smutandava una società che incontro a quell’ignoranza crassa stava cavalcando ferocemente e che, specchiandosi in quel personaggio dalla pochezza presuntuosa (praticamente l’esatto opposto di Piotta, che si rivelerà negli anni musicista intellettuale e di rara sensibilità), si sentiva quasi confortata, coccolata, disegnata, accolta. Un colpo di straccio per minimizzare una catastrofe intellettuale dalla quale non ci siamo ancora ripresi. L’Italia lo prese chiaramente come un semplice tormentone estivo, cosa che regalò a Piotta non solo una possibilità di carriera autentica, data l’attenzione verso il suo lavoro, ma anche una visuale sul mondo dell’industria musicale che lui negli anni, fino a quella perla di ultimo disco ‘Na notte infame, deciderà di sfidare con commovente purezza. E se non lo hanno capito in Italia, figuriamoci in Giappone, dove Supercafone arriva e spopola a tal punto da essere scelta come sigla del campionato di calcio 2004. Certe storie sono impagabili.