Dalla scommessa di «Sotto questo sole» al perché Cremonini ha scritto «50 Special»: la top ten dei tormentoni anni Novanta – La serie

Max Gazzè e Niccolò Fabi – Vento d’estate (1998)

Vento d’estate è un brano che Max Gazzé ha scritto nel 1992 e poi messo da parte, non lo convinceva. Lo ha ripreso solo sei anni più tardi, mentre lavorava a quel capolavoro de La favola di Adamo ed Eva, e solo grazie a Riccardo Senigallia, che ha prodotto quel disco e che ha dato una forzuta sterzata a testo e melodia. L’amicizia tra Gazzè e Fabi, è cosa ormai stranota, risale a molto prima, Gazzè addirittura quando ha in mano la versione finale del pezzo la trova particolarmente adatta alla voce dell’amico, tanto da volergliela regalare per Fabi, il disco a cui il collega stava lavorando. Poi il lavoro in studio ha convinto tutti che la miglior fine possibile per Vento d’estate era in duetto. In effetti la doppia voce rafforza questo arioso concetto di libertà che coinvolge tutti, non solo una singola persona, un singolo cantante, una singola voce, una singola impressione. Una leggerezza che nel brano si fa quasi cosmica, eterea, una stagione che diventa metafora della vita che riesce a sfiorarci senza deviare il nostro percorso, deciso a priori dal vento, inteso come destino, che anche se incontri l’amore e poi lo perdi, come viene cantato, dopo poche ore lo ritrovi. Piccoli e giganti a camminare su questa vita in balìa di cosa non sappiamo. Vento d’estate è un altro caso, tra gli ultimi in realtà, di canzone che della classica hit estiva, non ha nulla, ma risulta catchy nelle intenzioni, nel significato, che riguarda tutti, ma proprio tutti tutti. E non solo d’estate.