Rob Nixon: «L’ecologia? Oggi è solo un lusso per ricchi. Ci vuole l’ambientalismo dei poveri»

Il professore di Princeton: le battaglie per l’ambiente devono essere ripensate ocinvolgendo le popolazioni vittime dello sfruttamento

Rob Nixon, professore a Princeton ed editorialista dei maggiori quotidiani internazionali, spiega oggi in un’intervista a Repubblica che l’ecologia «è solo un lusso per benestanti». E che le battaglie per l’ambiente e per il pianeta devono essere ripensate. Coinvolgendo le popolazioni vittime dello sfruttamento delle risorse. Nixon spiega che la giustizia ambientale poggia su tre pilastri: « Protezione dai rischi e dai danni ambientali uguale per tutti, possibilità di accedere alle risorse e ai beni comuni e il diritto di esprimere queste istanze». Ma proprio qui si nasconde il problema: «È provato che spesso le comunità più esposte ai rischi ambientali sono quelle più povere. È successo negli Usa con le discariche tossiche di Love Canal o in India con il disastro di Bhopal».


I Great Outdoors

E quindi, spiega Nixon, «allo stesso modo, il fruire di acqua e aria pulite, l’accesso a terre comuni o anche a luoghi naturali dove trascorrere tempo libero – così importanti per l’equilibrio psicofisico – sono spesso un privilegio». In America l’esperienza dei Great Outdoors, i grandi spazi aperti, «è prevalentemente bianca. È come se gli afroamericani o gli ispanici fossero per natura radicati in spazi urbani». Secondo lui «bisogna reintegrare le voci dal basso. Quando si parla di difensori dell’ambiente vengono in mente le grandi Ong, dal Wwf a Greenpeace, ma spesso l’ambientalismo di cui sono interpreti non tiene conto delle fratture sociali o – in contesti postcoloniali – delle culture e dei saperi di chi nelle terre che quelle organizzazioni vorrebbero proteggere ci vive da sempre».


L’ambientalismo dei poveri

Infine, Nixon riprende il concetto di ambientalismo dei poveri: «Quel termine serviva ad attirare l’attenzione sul fatto che per molto tempo l’idea dominante di ambientalismo è stata quella tradizionale americana, per cui bisognava preservare la “natura selvaggia” dalla presenza umana. Ma questo non funziona dappertutto. I popoli indigeni posseggono competenze ecologiche essenziali alla sopravvivenza degli ecosistemi in cui vivono. È sbagliato però rappresentarli come “pii custodi” della terra. Vederli invece come detentori di conoscenze ancestrali in grado di adattarsi a circostanze nuove come il riscaldamento globale, e imparare da loro, ci aiuta a immaginare strategie alternative».

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