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Oliviero Toscani è malato di amiloidosi: «E si muore, non c’è cura. Forse chiamo Cappato»

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Il fotografo: mi sentivo 30 anni, una mattina mi sono svegliato e ne avevo 80. Sto provando una cura sperimentale. E penso a un viaggio in Svizzera

Il fotografo Oliviero Toscani è malato di amiloidosi. «E si muore. Non c’è cura», spiega lui oggi in un’intervista al Corriere della Sera. Oggi il fotografo sta «in un modo come non sono mai stato prima. Sto vivendo un’altra vita. Vengo da una generazione, quella di Bob Dylan, dove eravamo forever young , il pensiero di invecchiare proprio non c’era. Fino al giorno prima di essere così, lavoravo come se avessi 30 anni. Poi una mattina mi sono svegliato e all’improvviso ne avevo 80». L’amiloidosi è caratterizzata da un accumulo di aggregati proteici anomali che si depositano in diversi tessuti del corpo, con conseguente danno d’organo. Se ne conoscono 41 diverse tipologie. Tra le terapie ci sono cicli di chemioterapia per distruggere le cellule del midollo osseo che producono proteine anomale.

L’amiloidosi

La speranza di vita va dai 2 ai 4 anni. Per la terapia si usano anche colchicina, prednisone, diflunisal e il trapianto di cellule staminali. Toscani rivela di aver scoperto di essere malato «un po’ prima di un anno fa. Alla fine di giugno mi sono svegliato con le gambe gonfie, ero in Val d’Orcia. Ho cominciato a fare fatica a camminare. All’ospedale mi hanno diagnosticato un problema al cuore. A fine agosto sono andato a Pisa al Santa Chiara e da lì al Cisanello, dove avevamo deciso la data dell’operazione al cuore, intorno al 20 settembre».

Ma la diagnosi era sbagliata: «È venuto a trovarmi il mio amico Francesco Merlo con suo cugino, cardiologo al Giovanni XXIII di Bergamo. Mi ha fatto andare su da loro per altri esami e hanno subito chiamato il dottor Michele Emdin a Pisa, specializzato nella malattia che pensavano avessi: l’amiloidosi. In pratica le proteine si depositano su certi punti vitali e bloccano il corpo».

La cura sperimentale

«E si muore. Non c’è cura», conclude Toscani. Che poi dice che sta comunque provando «una cura sperimentale, faccio da cavia. A ottobre ho anche preso una polmonite virale e il Covid, mi hanno tirato per i capelli. Penso di essere stato anche morto, per qualche minuto: ricordo una cosa astratta di colori un po’ psichedelici. Quando sto male e ho la febbre riesco a immaginare cose fantastiche… In un anno ho perso 40 chili. Neppure il vino riesco più a bere: il sapore è alterato dai medicinali». Una delle strategie mediche per l’amiloidosi è il trapianto dell’organo che viene attaccato. I pazienti che subiscono un trapianto di fegato poi sopravvivono circa dieci anni. La chemioterapia si usa per abbassare il livello di immunoglobuline. Uno dei farmaci usati è NC-503 (eprodisato disodico), ancora in sperimentazione.

La paura di morire

Toscani dice di aver smesso di fotografare: «Mi sono liberato di tutto. È questa la bellezza». Ma non ha paura di morire: «Basta che non faccia male. E poi ho vissuto troppo e troppo bene, sono viziatissimo. Non ho mai avuto un padrone, uno stipendio, sono sempre stato libero». Poi sorride: «È John Lennon che disse che la vita è quello che ti succede mentre fai altro? Quando ho detto al mio amico Luciano Benetton che avevo una malattia rara lui mi ha risposto: “Oliviero, tu sei nato con una malattia rara!”». Con il magnate «ci sentiamo due volte alla settimana, ma non voglio che venga. È impegnativa per me una roba così». E aggiunge: «Ora sono come incatenato, ma sono libero di pensare come penso e di agire come penso dovrei».

Quanto tempo gli resta da vivere

Si chiede spesso «se non sarebbe stato meglio un problema di demenza, ma con un corpo sano. Sarebbe stato peggio per gli altri». I medici non gli hanno detto quanto tempo gli resta da vivere: «Non si sa. Certo che vivere così non mi interessa. Bisogna che chiami il mio amico Cappato, lo conosco da quando era un ragazzo. Ogni tanto mi vien voglia. Gliel’ho detto già una volta e lui mi ha chiesto se sono scemo». Infine, parla della sua mostra al Museum für Gestaltung di Zurigo: «Ha battuto tutti i record: doveva finire a metà settembre e invece la prolungano fino alla fine dell’anno. Pensare che ci passavo davanti, quando ero studente, ammirando chi riusciva a esporre lì. E adesso ci sono io. Non sono ancora andato. Magari, quando torna, mi ci accompagna Ali. E poi magari proseguo il viaggio con Cappato. Farebbe molto ridere».

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