Il maestro di judo di Vladimir Putin: «Sul tatami diventa un bambino»

Ezio Gamba è stato in Russia per 15 anni e ha allenato anche lo Zar

Ezio Gamba ha passato gli ultimi quindici anni in Russia. È arrivato nel 2009 come direttore tecnico della nazionale maschile di judo e nel 2012 è stato nominato general manager del team. A Londra ha vinto tre ori e altre medaglie. Ma ha anche avuto un allievo piuttosto celebre: Vladimir Putin. Oggi è tornato nel suo Paese natale per candidarsi alla presidenza della Fijlkam, la federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali, nonostante il suo contratto in Russia scada nel 2028. E in un’intervista a La Stampa racconta il tatami dello Zar.


Il tatami dello Zar

Il tatami è una pavimentazione giapponese composta da pannelli rettangolari affiancati fatti con paglia di riso intrecciata e pressata. «L’ho incontrato in tutto una ventina di volte. L’ultima è stata quattro anni fa, perché poi è scoppiata la guerra e io sono stato male. Poi ci siamo sentiti un’ultima volta per telefono lo scorso anno, quando mi ha chiamato per avere la mia opinione su una struttura per il judo e il sambo realizzata su mia proposta che non ha eguali al mondo per grandezza». Gamba dice che Putin «veniva all’incirca un paio di volte all’anno per allenarsi con la nazionale e una volta finito bevevamo tutti insieme il tè. Lui parlava molto con gli atleti delle loro problematiche. Il judo è lo sport che praticava da piccolo, ed era come vedere un ambino che gioca con il Lego. Gli si leggeva l’emozione negli occhi quando lo faceva e quando ne parlava».


Il voto

Il giudizio di Gamba sullo Zar è lusinghiero: «Per essere uno che non lo fa di professione, si muove in modo più decoroso di tanti altri judoisti». Infine, il tecnico parla anche dello sport e della guerra in Ucraina: «Sono mondi che devono rimanere sganciati. Non c’è una sola persona, che sia in Russia o in Ucraina, contenta di questa situazione. Ancora oggi sono in contatto con tanti atleti ucraini, che spesso mi scrivono o mi mandano i video per raccontarmi cosa sta succedendo nel loro Paese. Lo sport deve rimanere al di sopra di queste cose e trasformarsi in un anello di collegamento».

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