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Sharon Verzeni, i 2 testimoni che hanno incastrato Moussa Sangare: «Il killer è di origini straniere? Anche noi»

sharon verzeni omicidio moussa sangare testimoni
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Sono due italiani di origine marocchina. Hanno descritto l'uomo in bici negli attimi precedenti l'omicidio. E l'hanno riconosciuto quando è stato trovato

La svolta nell’omicidio di Sharon Verzeni è arrivata grazie a due testimoni. Due italiani di origine marocchina hanno messo gli inquirenti sulla pista giusta a Terno d’Isola. Hanno raccontato di aver visto un uomo di origine africana in bicicletta. E lo hanno descritto. Quella notte infatti erano nei pressi di via Torre, una traversa di via Castegnate. «Avete visto uno scappare lungo via Castegnate?». «No, abbiamo visto uno che risaliva la via». Decisivo è stato l’elemento temporale: le telecamere riprendono i due giovani alle 00.27. A quell’ora passa Moussa Sangare. Che viene ripreso qualche minuto dopo in piazza 7 Martiri e poi da altre telecamere. Tra cui una che restituisce un’immagine più chiara. Da lì è partita la caccia all’uomo. Conclusasi con l’arresto nella notte di venerdì.

Italiani di origine marocchina

I due testimoni italiani di origine marocchina hanno 25 e 23 anni. Uno lavora come commesso in un negozio di abbigliamento di lusso. L’altro fa l’autista in un grande magazzino. A Repubblica raccontano oggi com’è andata: «Io mi sto allenando per il titolo italiano di kickboxing, ho l’incontro il prossimo 21 settembre. Lui gioca a calcio in prima categoria. Quella sera eravamo usciti come al solito molto tardi per allenarci». E poi: «Era più o meno mezzanotte, eravamo a Chignolo vicino alla farmacia e davanti al cimitero dove ci siamo fermati per fare delle flessioni. A quel punto sono passati due nordafricani in bicicletta, poi un terzo. Lui ci è rimasto impresso, perché era un po’ strano. Aveva una bandana in testa e un cappellino, uno zaino e gli occhiali. Ci ha fissato a lungo e poi ci ha fatto una smorfia. Non lo avevamo mai visto prima».

L’interrogatorio

I due raccontano l’incontro quando vengono interrogati in caserma. «A un certo punto — sorridono — ci hanno fatto anche i complimenti perché ci ricordavamo tutto». Quando hanno saputo dell’arresto di Moussa Sangare sono rimasti «sorpresi, non abbiamo mai pensato che l’assassino potesse essere lui. Anche se si vedeva che era uno che non stava bene. Abbiamo provato comunque un grande sollievo, perché non avevamo saputo più nulla sulle indagini». Avevano paura di finire coinvolti. E resta il rimpianto di «non aver potuto fare qualcosa per Sharon. Non essere stati più vicini a via Castegnate. In quel caso forse avremmo potuto salvarla. Magari l’assassino ha visto una preda facile, come quei due ragazzini che voleva aggredire. Quando ha incrociato noi, invece, ci ha solo guardato male ed è andato avanti».

La cittadinanza

Infine, spiegano di aver «avuto la cittadinanza da ragazzini, a quindici anni. Vogliamo far riflettere che se il killer è di origini straniere, lo siamo anche noi. Forse senza la nostra testimonianza sarebbe libero. Pensiamo di aver fatto il nostro dovere». Il Corriere della Sera fa sapere che dopo la testimonianza dei due ragazzi i carabinieri hanno individuato una persona che per stazza, capigliatura e vestiario poteva corrispondere all’identikit. Mercoledì sera Moussa Sangare è stato portato in caserma come testimone. Prova a fare resistenza. Il giorno dopo i due confermano: è lui l’uomo in bici. I carabinieri tornano a interrogarlo per tutto il giorno. Alle 5.03 di venerdì 30 agosto arriva la confessione: «Sono stato io, non so perché l’ho fatto».

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