Israele ribolle di rabbia dopo l’uccisione dei 6 ostaggi. Domani sciopero generale contro Netanyahu: «Il loro sangue è sulle tue mani»

Due famiglie delle vittime si rifiutano di parlare con il premier, mentre le opposizioni attaccano: «Rifiuta l’accordo con Hamas solo per restare al potere»

È più forte di quanto non sia probabilmente mai stata dal 7 ottobre la pressione dell’opinione pubblica israeliana su Benjamin Netanyahu. Dopo il ritrovamento dei corpi di sei ostaggi a Gaza, il premier si trova a fare i conti con una nuova, potente ondata di rabbia, proteste e richieste di dimissioni. Alle 19 di oggi, domenica 1° settembre, è prevista una grande manifestazione davanti al ministero della Difesa a Tel Aviv, indetta dal Forum delle famiglie degli ostaggi. Le proteste coinvolgeranno anche altre città israeliane, con una lunga lista di ristoranti, cinema e teatri che chiuderanno le saracinesche a partire dalle 18 in segno di protesta, così da incoraggiare i cittadini a partecipare alle manifestazioni. Domani si terrà poi uno sciopero generale, convocato dal sindacato Histadrut, a cui diversi sindaci hanno già detto di voler aderire. Tra loro c’è anche Ron Huldai, primo cittadino di Tel Aviv, che ha annunciato la chiusura di tutti gli uffici comunali per sostenere la battaglia dei familiari degli ostaggi.


La rabbia dei familiari delle vittime

Secondo fonti della sicurezza israeliana, i sei ostaggi trovati morti a Rafah sarebbero stati uccisi poche ore prima del loro ritrovamento da parte dell’esercito, tra venerdì 30 e sabato 31 agosto. Le autopsie hanno rivelato che tutti e sei sono stati uccisi con colpi di arma da fuoco alla testa e in altre parti del corpo. E secondo quanto rivelato da una fonte anonima alla radio dell’esercito stesso, tre degli ostaggi assassinati erano nella lista dei prigionieri che sarebbero stati rilasciati nella prima fase di un eventuale accordo tra Israele e Hamas. Una batosta supplementare per le famiglie, e per il Paese intero. «Voglio dire quanto mi dispiace e chiedervi perdono per non aver potuto riportare a casa Sasha vivo», ha detto Netanyahu in una telefonata ai genitori di Alexander Lubnov, uno degli ostaggi appena uccisi da Hamas. Ma nn tutti i familiari delle vittime hanno voluto parlare con il premier. Due delle sei famiglie, riporta Channel 12, si sono rifiutate di rispondere alle telefonate di condoglianze di Netanyahu. Una presa di posizione durissima, che ricalca quanto dichiarato dallo stesso Forum delle famiglie poco dopo il ritrovamento dei sei cadaveri: «Non ci aspettiamo che il terrorista Sinwar (il leader di Hamas, ndr) restituisca gli ostaggi, ci aspettiamo che il primo ministro di Israele faccia tutto, tutto, tutto per riportarli a casa».


La pressione politica su Netanyahu

Oltre alla pressione che arriva dalla società civile e dalle famiglie degli ostaggi, Netanyahu si trova a fare i conti anche con le bordate politiche che provengono tanto dalle opposizioni quanto da alcuni alleati di governo. I sei ostaggi, ha scritto il leader dell’opposizione Yair Lapid, «erano vivi, ma Netanyahu e il gabinetto della morte hanno deciso di non salvarli». Secondo l’ex premier israeliano, l’attuale primo ministro «sta facendo di tutto per restare al potere» e rifiuta di sottoscrivere un accordo con Hamas solo «per ragioni politiche». Lapid ha quindi chiesto di convocare una sessione plenaria della Knesset, il parlamento israeliano, per un dibattito con lo stesso Netanyahu sul tema dei negoziati. «La maggioranza del popolo vuole un accordo, la maggioranza del parlamento è a favore di un accordo», insiste ancora Lapid. Ma le critiche che piovono sul primo ministro provengono anche da esponenti del suo stesso governo. Yoav Gallant, ministro della Difesa, ha esortato Netanyahu a concludere al più presto un accordo per il cessate il fuoco a Gaza e ha chiesto al gabinetto di sicurezza di fare un passo indietro rispetto all’insistenza nel mantenere le truppe dell’Idf nel corridoio di Filadelfia.

Le reazioni internazionali

Dopo il ritrovamento dei cadaveri dei sei ostaggi israeliani a Rafah, il segretario generale dell’Onu, António Guterres, ha chiesto la «liberazione incondizionata» degli ostaggi trattenuti nell’enclave palestinese e la fine dell’«incubo della guerra a Gaza». Josep Borrell, capo della diplomazia europea, si è detto «inorridito» per l’omicidio dei sei ostaggi israeliani, che – ha aggiunto l’alto rappresentante Ue per la politica estera – «avrebbero dovuto essere portati in salvo molto tempo fa e riunirsi ai loro cari». Kamala Harris, vicepresidente Usa e candidata democratica alle presidenziali di novembre, ha condannato «fermamente la continua brutalità di Hamas» e ha assicurato che l’amministrazione guidata da Joe Biden «non vacillerà mai nel nostro impegno per liberare gli americani e tutti coloro che sono tenuti in ostaggio a Gaza».

I familiari degli ostaggi israeliani nelle mani di Hamas protestano davanti alla residenza di Netanyahu a Gerusalemme, 30 agosto 2024 (EPA/Abir Sultan)

In copertina: Un momento della manifestazione contro il premier Benjamin Netanyahu a Tel Aviv, 31 agosto 2024 (EPA/Atef Safadi

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