Il dolore di Awa, la sorella di Moussa Sangare: «Alla fine è arrivato a uccidere qualcuno. Per mio fratello nessuno si è mosso»

Le parole della giovane a Il Messaggero e all’Eco di Bergamo. L’incendio alla casa di famiglia, il coltello puntato contro la madre e la sorella: gli ultimi mesi del killer di Sharon Verzeni

«Alla fine è arrivato a uccidere». Questo il dolore della sorella ventiquattrenne Awa, studentessa di Ingegneria a Bergamo e sorella di Moussa Sangare. Parole raccolte da Il Messaggero che oggi fa un ritratto del killer di Sharon Verzeni, descrivendo il paese di Suisio, dove viveva e dove lo ricordano come un ragazzo non facile. «Avevamo paura. Dicevo a mio marito e mia figlia di stare alla larga da lui. È un anno che denuncio, ho chiamato sindaco, assistenti sociali e carabinieri, che sono anche venuti a fare un controllo, qua deve succedere una tragedia perché qualcuno intervenga», racconta Clotilda Bejtai abitante al primo piano della palazzina dove viveva il trentunenne. «Un incubo – dichiara alla testata – E ciò che mi tormenta è che quel giorno la vittima designata avrei potuto essere io». Il 10 luglio 2023 Sangare ha dato fuoco alla cucina dell’appartamento della madre e il sindaco ha firmato un’ordinanza di inagibilità. A maggio di questo anno arriva la denuncia di maltrattamenti familiari: Moussa ha puntato un coltello contro la sorella. Il pm di Bergamo incaricato del fascicolo ha attivato un codice rosso, tuttavia non sono state applicate misure cautelari poiché l’uomo non aveva più rapporti con la famiglia. Poi Sangare è tornato in via San Giuliano, occupando un appartamento disabitato al piano terra. I carabinieri l’hanno trovato in condizioni terribili, tra bottiglie di birra, senza acqua corrente, «per l’elettricità si era attaccato ai cavi della casa della mamma», riferisce Clotilda, che da sette anni vive sotto la famiglia del giovane. «Alle tre di notte sentivo le botte, sembrava che venisse giù il soffitto. Spaccava la porta d’ingresso, urlava. Come si fa a dire che ha ucciso Sharon per un impulso improvviso? Una persona con rabbia accumulata, che nel subconscio ha il male. Era fuori di sé», ricorda la vicina. E poi «stava qua strafatto, dovevo passargli sopra quando uscivo per andare a lavorare. Entrava nella casa occupata dalla finestra».


Awa: «Non doveva finire così per mio fratello nessuno si è mosso»

Awa ha parlato in una lunga intervista all’Eco di Bergamo. «Quando ci hanno detto che era stato lui a uccidere quella povera ragazza, siamo rimaste choccate. Sapevamo che non stava bene, ma mai avremmo potuto pensare che potesse arrivare a questo», ha detto la studentessa 24enne di ingegneria gestionale. «Non doveva finire così, assolutamente no. Il nostro pensiero va a quella povera ragazza, a Sharon e alla sua famiglia, siamo molto addolorate». «Per mio fratello nessuno si è mosso – denuncia la ragazza – abbiamo fatto di tutto per liberarlo dalla dipendenza, per affidarlo a chi potesse aiutarlo, ma lui ha sempre rifiutato. A noi, dopo aver verbalizzato le denunce, hanno dato i volantini dei centri antiviolenza mentre per un ricovero in qualche centro per fare uscire Moussa dalla dipendenza ci hanno risposto che doveva essere lui a presentarsi in modo volontario». Anche per Awa la vita di Moussa è cambiata quando è partito per l’estero: «Era un bravo ragazzo, poteva sembrare strano forse ma tranquillo, almeno fino a quando non è andato negli Stati Uniti e poi a Londra nel 2019: è tornato ammettendo di aver iniziato a fare uso di droghe sintetiche. Non era più lui». «Ci sono stati giorni in cui la paura era sempre dentro le mura di casa, non mi lasciava mai. Giorni in cui urlava, parlava da solo, delirava», ricorda. Poi, dal 9 maggio, dopo la terza denuncia in un anno presentata dalle due donne, non abitava più con madre e sorella, «e non avevamo proprio più contatti. Stavamo nella stessa casa ma su due piani diversi e lui di giorno si chiudeva in casa e usciva la notte, è sempre stato solitario. E comunque negli ultimi tempi non si è più mostrato violento con noi». «Prima dello scorso aprile – ricorda – non aveva mai usato un coltello contro di noi. Ma quel giorno, era il 20 aprile, mi ha raggiunto alle spalle mentre stavo ascoltando la musica in sala e mi ha minacciato con un coltello. Io non mi ero accorta di niente, mia mamma, che da quando ha avuto l’ictus non riesce più a parlare, cercava di farmi capire che ero in pericolo. Allora io mi sono girata e Moussa si è fermato. Se n’è andato, ridendo».


Leggi anche: