Il generale Roberto Vannacci e la lettera al Corriere della Sera: «Non lascio l’esercito potrei tornarci»

L’europarlamentare della Lega al quotidiano: «Non mi dimetto. Servo la Patria in altra veste»

«Gentile Dott. Carlo Verdelli, dopo un’attenta lettura del suo articolo chiarisco da subito che il mio impegno per la Patria e peri valori costituzionali non è mai venuto meno. Un giuramento, soprattutto quello al tricolore, è per sempre! In merito al suo suggerimento di dimettermi dall’Esercito, preciso che nessuna legge o normativa mi impone di farlo. Non mi risulta, peraltro che, in passato, siano state richieste le dimissioni di altri militari o magistrati che hanno espresso pubblicamente le loro idee o che hanno partecipato attivamente alla vita politica del Paese». Queste le parole del generale Roberto Vannacci, eletto tra le fila leghiste al Parlamento Europeo. Le affida al Corriere della Sera dove è stato sollevato, dal giornalista Carlo Verdelli, il caso di compatibilità del posto da europarlamentare con quello da militare dell’esercito italiano. «Il suo consiglio – aggiunge Vannacci – appare quindi privo di fondamento sia per normativa che per storia. (…) Ora il mio servizio alla Patria continua con una veste diversa: seguiterò a promuovere e difendere i valori fondamentali della libertà, della democrazia, della giustizia, della libera espressione del pensiero (sempre messa in discussione da chi, a parole, si professa democratico — solo ultimamente, dal sindaco di Nichelino) e del rispetto della dignità umana». E infine una porta aperta: «Non è improbabile che un giorno io possa tornare al servizio militare attivo, come fece Cincinnato tornando alle sue terre. Pretendere che un politico debba essere esclusivamente un politico, privo di esperienze in altri campi e incapace di tornare a tali attività, imporrebbe forti limitazioni partecipative alla vita pubblica del Paese a chi ha scelto la professione di militare, di professore o di magistrato».


La Decima Mas e la definizione di fascista

Nella sua lettera Vannacci sottolinea che «la partigiana digressione sulla Decima Mas è fuori luogo, soprattutto se diretta a uno che ha militato per trent’anni nelle Forze Speciali del nostro Paese. Oltre a quello che le interessava ventilare per corroborare la sua teoria, per amor di verità, avrebbe dovuto ricordare che tra i ranghi dell’odierna Marina Militare esiste un reparto erede delle tradizioni, del valore, del coraggio e delle gesta eroiche di quella gloriosissima unità della Regia Marina che operò colando a picco un tonnellaggio di naviglio nemico superiore a quanto l’intera Marina non avesse fatto dal ‘39 al ‘43. Quella è la Decima al cui valore con deferenza mi inchino». E ancora : «Ribadisco anche che non considero “fascista” un’offesa, ma, tutt’al più, un giudizio politico che, come tale, rispetto. Invece, «co…ne» (per citare un noto esponente politico) certamente è un insulto». «Dott. Verdelli, se ne faccia una ragione. Peraltro, cosa ci sarebbe di così eroico nel dare le dimissioni dall’Esercito? Come ho già replicato al suo collega Biloslavo, dimettendomi potrei cumulare gli emolumenti della pensione militare con quelli da europarlamentare, dando magari ragione a chi in televisione asserì che i calcoli della pensione me li stessi già facendo da tempo. Di questi tempi, non le sembra più ardita l’aspettativa e la
mia rinuncia al doppio stipendio?».


La replica di Verdelli

Sotto figura la replica di Verdelli: «Vero, generale Vannacci, nessuna legge le impone di dimettersi dal suo alto incarico. «L’Italia ha bisogno di leader», scrive, e lei si sta candidando a diventarlo. Quindi, proprio in questa chiave, confermo il mio inutile consiglio. Ps. Non definirei «partigiana» la mia digressione sulla Decima Mas. Se non altro per rispetto dei partigiani, che la Decima, dopo l’8 settembre, ha combattuto con spietato ardore. E mi fermo qui».

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