Riccardo C. e la strage di Paderno Dugnano: «Può capitare anche a noi. I genitori? Sanno di padel o della partita»

Lo psicanalista Lancini: il gesto disperato per una relazione annullata. Paolo Crepet: è avvenuta perché non ci parliamo più

Perché Riccardo C. ha ucciso i suoi genitori e il fratellino a Paderno Dugnano? La strage di via Anzio, secondo lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, ha a che fare «con ciò che accade all’interno della famiglia. Ognuna di esse ha delle caratteristiche uniche e specifiche che difficilmente si possono generalizzare». Il presidente della Fondazione Minotauro di Milano parla oggi con La Stampa: «Sempre più spesso i fatti di cronaca e il lavoro quotidiano che facciamo anche al centro Minotauro ci restituiscono un quadro di ragazzi che faticano enormemente a esprimere gli aspetti emotivi, i conflitti e i sentimenti più disturbanti relativi al proprio contesto familiare e amicale in qualche cosa che diventi simbolo, parola e condivisione. La relazione viene annullata e si ricorre al gesto disperato».


La strage e i motivi

Secondo Lancini per comprendere il livello di salute mentale di Riccardo C. «bisogna attendere le perizie e tutti gli accertamenti della procura e del tribunale minorile. Senza dubbio ci troviamo davanti a un disagio e un dolore mentale che, però, non necessariamente possiamo subito attribuire a una psicopatologia». L’uso del coltello tra i giovani «è sempre più diffuso. Anche in età anticipata e tra ragazzi provenienti da contesti socio-economici non svantaggiati, come nella vicenda di specie, che regolano le vicende emotive attraverso l’utilizzo di quest’arma. Il ragazzo ha agito con gesto particolarmente violento e ripetuto. Prima contro un bambino di 12 anni e poi contro una madre e un padre». Mentre la chiamata al 112 per incolpare il padre della strage è spiegabile perché le difese «spesso non sono premeditate e strutturate».


Il disagio, l’oppressione, il triplice omicidio

Lancini dice che l’unico modo per comprendere prima questo tipo di disagi è che «non dobbiamo mai smettere di dare voce alle emozioni anche più disturbanti che hanno i ragazzi. Oggi abbiamo più che mai la necessità di partire da questa terribile vicenda per parlarne e fare in modo che i propri figli esprimano il proprio pensiero sul gesto e anche lasciarli dire delle cose che ci possano disturbare e non vorremmo sentire». Il professor Paolo Crepet, psichiatra, sociologo e saggista, parla invece con Il Messaggero: «Prendiamo atto del disfacimento del nostro mondo, del disfacimento della famiglia. Lo dico da trent’anni. E mi sento rispondere che sono il disfattista, che sono il pessimista, che non capisco niente, che bisogna guardare il bicchiere mezzo vuoto. Da anni mi chiamate per commentare delitti di questo tipo… Ma davvero c’è qualcuno, compreso il ministro della Famiglia, che dica che esiste ancora la famiglia? Andiamo».

Il disfacimento della famiglia

Secondo Crepet «semplicemente non c’è più una regola. Ed è avvenuto perché non parliamo più. Abbiamo scambiato i soldi con le parole. Una volta si parlava e non c’erano i soldi. Oggi ci sono i soldi ma non si parla più. Un padre non sa dove è suo figlio di 14 anni. Sabato sera c’era mezza Italia che non sapeva dove si trovasse il proprio figlio. Ne aveva una idea molto, molto vaga. Un padre non sa cosa fa il proprio figlio di 14 anni, non sa quanti shot stia bevendo, non sa se consuma cocaina, non sa se fa sesso con una tredicenne. Semplicemente non lo sa. Sa di cosa sanno i genitori? Di padel, della partita, del prossimo viaggio quando magari si parte sposati e si torna separati. Poi mi dicono “lei è pessimista”. No, sono gli ottimisti che sono male informati».

I genitori protettivi nel modo sbagliato

Lo psicologo sostiene che i genitori italiani non sono protettivi quando dovrebbero esserlo, «vale a dire a partire dalle 9 di sera. Sono protettivi in modo sbagliato, ecco che non ci sono più i voti a scuola. Guardi, è stato fatto tutto il contrario di ciò che sarebbe intelligente fare. Forse non siamo un popolo così intelligente». La situazione, secondo Crepet, si migliora «mettendo un punto. Possiamo cambiare la scuola, prima di tutto. In maniera rivoluzionaria. Non funziona nulla. Prima di tutto bisogna cominciare a 5 anni e non a 6, finire a 18 e non a 19. Bisogna rimettere i voti come si è sempre fatto. Bisogna avere la scuola a tempo pieno e dare più soldi agli insegnanti. Ma lei pensa che ci sia un politico che pensa a queste cose? Però ho ragione io, me lo faccia dire».

Leggi anche: