Paderno Dugnano, perché Riccardo C. ha ucciso i genitori e il fratello: «Mi sentivo oppresso, volevo liberarmi»

La strage e la confessione: «Ero un corpo estraneo nella mia famiglia». «Ho preso un coltello da carne, ho colpito mio fratello ma senza una ragione precisa». «Non avevo un dialogo con nessuno. Era come se nessuno mi comprendesse»

Riccardo C. ha ucciso il fratello Lorenzo, la madre Daniela e il padre Fabio C. perché si sentiva «oppresso». «Mi sentivo un corpo estraneo nella mia famiglia. Ho pensato che uccidendoli tutti mi sarei liberato da questo disagio», ha detto ai carabinieri dopo le 13 di ieri, 2 settembre 2024. Aveva chiamato lui stesso il 112 per dire che il padre aveva ucciso sua madre e suo fratello e lui l’aveva ammazzato per salvarsi. Ma quando i militari sono arrivati in via Anzio a Paderno Dugnano lo hanno trovato davanti al cancelletto di casa pieno di sangue. In mano aveva ancora il coltello. La sera prima la famiglia era riunita a cena per festeggiare il 51esimo compleanno del padre. «Me ne sono accorto un minuto dopo. Ho capito che non era uccidendoli che mi sarei liberato», ha detto.


La strage di Paderno Dugnano

Riccardo C., 17 anni, ultimo anno allo scientifico, verso le 2 di notte è sceso al primo piano di casa sua. Ha preso un coltello dalla cucina, è entrato nella stanza di Lorenzo e l’ha ucciso nel sonno. Svegliata dai rumori, la madre Daniela è stata accoltellata davanti alla porta della stanza del figlio minore. Poi è toccato al padre, colpito anche lui nella stanza del figlio. Il corpo sarà trovato tra il letto e il pavimento. Infine, la chiamata al 112. Con la versione immaginata per l’occasione: «Venite, ho ammazzato papà». Alle 2.20 i soccorritori trovano Riccardo C. nel vialetto d’ingresso in mutande e completamente ricoperto di sangue. Da quel momento scatta l’indagine che porterà il ragazzo a confessare la strage di Paderno Dugnano. Alle 14 davanti alla Pm della procura dei minorenni Sabrina Di Taranto e al procuratore capo di Monza Claudio Gittardi la confessione.


La confessione

«Non è successo niente di particolare sabato sera. Ma ci pensavo da un po’, era una cosa che covavo», ha fatto mettere a verbale. Dice di essersi alzato per prendere «un coltello da carne». E di aver colpito per primo, «ma senza una ragione precisa», il fratellino. Parla di disagio: «Non so davvero come spiegarlo. Mi sento solo anche in mezzo agli altri». «Non avevo un vero dialogo con nessuno. Era come se nessuno mi comprendesse», aggiunge durante la confessione. Il padre di Riccardo portava avanti con il fratello Max l’impresa di costruzioni del padre Vmf Costruzioni Edilizia. La madre aveva un negozio di abbigliamento a Cinisello Balsamo. Il suo rendimento scolastico era altalenante ma sufficiente, amava giocare a pallavolo. «Non appena ha portato a compimento questa liberazione si è reso conto che era successo l’irreparabile», ha detto un investigatore.

Riccardo C.

La versione che ha raccontato all’operatore del 112, secondo chi indaga, «era sicuramente qualcosa che il ragazzo aveva preparato. Continuava a ripeterlo anche quando era evidente che le cose non erano andate in quel modo». Magrissimo e coperto solo da un paio di boxer, ha subito consegnato il coltello ai carabinieri quando ha aperto la porta del villino: «Venite». I militari lo hanno filmato con la bodycam mentre faceva loro strada nel villino. Poi i corpi: quello di Lorenzo sterminato da una serie di fendenti e pieno di sangue. Quello della madre Daniela accovacciato sul pavimento, forse in un estremo tentativo di difendersi. «Mi sono svegliato e Lorenzo e la mamma erano lì, dove sono morti. Papà era seduto, in silenzio. Il coltello era per terra. Ho avuto paura, l’ho preso e l’ho ucciso», è la ricostruzione che fornisce prima al telefono e poi ai carabinieri.

L’altra verità

Dopo un breve colloquio con l’avvocato d’ufficio Giorgio Conti Riccardo racconta la verità. Prima, dalle 6 del mattino fino alle 14, ha continuato a negare e si è chiuso in un silenzio «catatonico». «Sì, li ho ammazzati io. Mi sentivo un estraneo in questa famiglia. Dovevo liberarmi. Dovevo risolvere il problema». Una pattuglia lo porta via verso il carcere Beccaria, arrestato per triplice omicidio aggravato dalla premeditazione. La mano destra copre istintivamente il volto. Alla quarta liceo ha rimediato il debito in matematica, ma non c’entra nulla con la strage: «No, non è quello». Non fa uso di droghe. Non è stato oggetto di bullismo. La nonna Fiorina e lo zio Max si sono presentati in caserma durante l’interrogatorio. Nella famiglia mai una lite, mai grida.

Oppresso

«Da uno che va allo scientifico, fa i giochi matematici e ha una famiglia così, come fai ad aspettarti una cosa del genere?», dicono i vicini. C’è una foto che lo ritrae davanti all’ingresso della sua scuola come finalista nazionale dei giochi di matematica: «Il mio Einstein», diceva la madre. «Io da questa famiglia mi sentivo estraniato. Come, non saprei dire… ecco: oppresso. Non so dirvi da quanto. Da un po’. E ho pensato che liberandomi di tutti loro mi sarei liberato anche di questo problema, di questa sensazione». «Fra pochi giorni doveva frequentare l’ultimo anno di liceo, è un tipo tranquillo, sveglio, a posto. Fa sport. L’ultima persona da cui ti aspetti che possa fare del male», lo descrive un amico. Un ragazzo «pulito». Nelle foto sui social si mostra abbracciato dal papà al ristorante sushi, sotto il balcone di Giulietta a Verona, in gita nelle capitali dell’Est Europa e sulla neve.

Il Mulino Bianco

«Lui andava a scuola con mia figlia, abbiamo fatto le vacanze insieme, il papà l’ho visto un mese fa, era una famiglia fantastica, felice. È impossibile, non so cosa possa essere successo, cosa gli è scattato dentro. È un enigma per tutti», chiude il padre di un’amica. Su Instagram Riccardo C. non condivideva nulla. Ma con il profilo seguiva gli amici più stretti, la società di pallavolo, i cantanti, gli sportivi. Nessuna foto con gli amici. Nemmeno quelle con la famiglia. Arrestato in quasi flagranza, senza che nessuno per ora sia in grado di capire perché abbia sterminato madre, padre e fratellino. La sua famiglia, dicono i vicini, «sembrava quella del Mulino Bianco».

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