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Paderno Dugnano, il «male invisibile» di Riccardo C.: «Ha ucciso i suoi fantasmi come Raskolnikov»

03 Settembre 2024 - 05:36 Alessandro D’Amato
riccardo c. strage paderno dugnano psicologi
riccardo c. strage paderno dugnano psicologi
Gli psicologi: dietro la solitudine degli adolescenti si cela un dolore enorme. I genitori distratti? No. Si portava dentro una ferita antica

Quello di Riccardo C., autore della strage di Paderno Dugnano, è un «male invisibile». Che ci porta a fare i conti con la domanda più difficile: e se dovesse succedere a noi? E se da una parte c’è chi accusa i genitori che «sanno solo di padel e di calcio», Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, spiega al Corriere della Sera che la frase chiave della confessione del 17enne è un’altra. «Mi sento solo anche in mezzo agli altri», ha detto il ragazzo. «È una frase forte, che rappresenta una condizione che riguarda tanti giovani», dice Lancini. Perché «dietro la solitudine degli adolescenti si cela un dolore, che può essere enorme». E che nasce dal fatto che «non hanno la possibilità di esprimere liberamente, senza paura di essere giudicati o repressi, le proprie emozioni».

La fragilità

«Soprattutto quelle che riguardano le loro fragilità come esseri umani: dolore, rabbia, tristezza», prosegue lo psicologo. «Inconsapevolmente impediamo ai ragazzi di “mettere in parola” ciò che provano e preferiamo ricercare la causa del loro malessere in qualcosa di esterno, come per esempio i social network, lo smartphone, la pandemia», aggiunge. Gli adulti, da parte loro, devono smettere di pensare che basti chiedere “come va”: «L’educazione affettiva, sessuale, l’ascolto in famiglia dev’essere qualcosa di sentito, che permetta ai giovani di esprimere i propri sentimenti, anche quelli più disturbanti. Smettiamo di porci verso i ragazzi solo con l’idea di educare (“ti dico io cos’è giusto e cosa no”) e privare (“ti tolgo lo smartphone…”). Ascoltare i ragazzi non significa però dar loro sempre ragione».

I figli, il dolore, la violenza

I figli, spiega Lancini, «sono altro da noi. Vanno accettati e pensati come individui da conoscere e rispettare». E ancora: ««I ragazzi oggi non parlano, o parlano poco, perché non si sentono liberi di esprimersi. E così il dolore, muto, giorno dopo giorno si trasforma e, durante l’adolescenza, diventa un’azione. Si può trasformare in una violenza che sfocia in gesti autolesivi o, come in questo caso, in una strage distruttiva. Il dolore mentale aumenta se non c’è possibilità di condividerlo».

Per lo psicologo è impossibile intercettare i segni premonitori: «Lavorando ogni giorno con il dolore dei ragazzi, manifestato nelle sue forme più estreme, posso dire che con il passare del tempo anche per il ragazzo di Paderno verranno fuori delle abitudini o dei comportamenti che ci daranno la falsa convinzione di avere capito tutto. In realtà l’unica cosa che conta sapere è che solo se il disagio riesce a diventare parola, solo quando un figlio si sente pensato e viene legittimato il suo pensiero viene fatta educazione».

I fantasmi di Riccardo C.

Luigi Cancrini, decano degli psichiatri italiani, dice invece a Repubblica: «Chissà quali fantasmi aveva dentro quel ragazzo, pur mostrandosi perfettamente integrato e inserito, a scuola, nello sport, nella vita sociale». Secondo Cancrini è stato «un gesto psicotico, figlio di una sofferenza psichica con la quale conviveva chissà da quanto tempo. Non significa affatto che sia innocente, se una persona malata nuoce agli altri deve essere fermata. Questo ragazzino sconterà la sua pena, ma spero che venga anche curato». Si tratta di giovani con vite normali che però sono disturbati: «Si costruiscono una corazza che nasconde il loro disturbo: sono nello stesso tempo lucidissimi e malati. Del resto il ragazzo lo diceva: sono estraneo a questo mondo».

Genitori distratti?

Cancrini rifiuta di definire distratti i genitori di Riccardo C.: «Nessuno ha colpa, il parricidio esiste da sempre, in psichiatria è ben noto. A mio parere Riccardo si portava dentro una ferita antica, risalente magari ai primi anni di vita. La psicosi si forma anche in questo modo. Uccidendo i familiari ha ucciso i propri fantasmi. È tremendo, ma è così. E mentre li pugnalava era assolutamente convinto di fare la cosa giusta. Ho pensato a Raskolnikov, il protagonista di Delitto e Castigo. Anche lui uccide per scacciare i propri fantasmi».

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