Inchieste giudiziarie, cantieri fermi, investitori in fuga: perché l’edilizia a Milano è nel caos
Nella Milano che va di corsa e non ha mai un secondo da perdere, c’è un settore che da un anno e mezzo a questa parte si muove a rilento e con insospettabile cautela. Si tratta dell’edilizia, sconvolta dalle inchieste giudiziarie che dalla primavera 2023 hanno creato una frattura inedita tra procura e uffici comunali e portato allo stop dei lavori in diversi cantieri. Nei mesi scorsi, il sindaco Giuseppe Sala aveva cercato un aiuto da parte del governo per sbloccare la paralisi del settore e scongiurare una fuga degli investitori dalla città. Il ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini, ha offerto di dare una mano, ma alla fine l’emendamento “salva Milano” non è stato inserito nel decreto sulla pace edilizia tanto voluto dal leader leghista. «Quello che faremo noi a questo punto, credo che sarà riprendere e cercare di velocizzare il Pgt, per trovare una formula che metta in sicurezza gli interessi della città e di chi costruisce», aveva commentato Sala poco dopo la notizia del ritiro dell’emendamento.
Da dove nascono le indagini dei pm milanesi
Per districarsi nel caos che sta attraversando l’edilizia milanese occorre fare un passo indietro. In particolare, alla primavera del 2023, quando la procura del capoluogo lombardo apre un fascicolo d’inchiesta su un nuovo edificio di Piazza Aspromonte e sulle Torri di Crescenzago. Questo secondo caso è particolarmente emblematico: in un’area che fino a pochi anni fa ospitava due capannoni industriali sono spuntati tre palazzi di 81, 59 e 10 metri, per un totale di 113 appartamenti. Il comune di Milano ha autorizzato l’intera operazione come «ristrutturazione» attraverso una Scia, una Segnalazione certificata di inizio attività, conosciuta anche tra i non addetti ai lavori come il documento necessario per cambiare la destinazione d’uso di un immobile o per fare piccoli lavori di ristrutturazione in casa. Secondo la procura di Milano, il progetto delle Park Towers non era configurabile come semplice ristrutturazione, ma come intervento edilizio ben più impattanto e necessita quindi di tutt’altro iter autorizzativo. Insomma, per i pm non bastava una semplice comunicazione di inizio lavori. Si sarebbe dovuto richiedere un permesso di costruire, con la valutazione d’impatto sul territorio circostante, oneri di urbanizzazione più alti e un «piano attuativo» sui servizi e le opere infrastrutturali necessarie nel quartiere per contenere i nuovi volumi di traffico e i nuovi abitanti.
Ristrutturazioni o nuove costruzioni?
Dal 2023 ad oggi, i fascicoli d’indagine sono diventati almeno dodici, con oltre 150 cantieri fermi in città e 140 dipendenti comunali che a febbraio hanno chiesto di essere spostati in altri uffici minacciando di bloccare le pratiche. Le inchieste si sono allargate a decine di edifici, tra cui il complesso residenziale Hidden Garden, le Residenze Lac di via Cancano e Bosconavigli, l’edificio in costruzione nel quartiere San Cristoforo che porta la firma dell’archistar Stefano Boeri. In alcuni casi, sono stati i pm a procedere d’ufficio per aprire le inchieste. In altri, tutto è nato dalla mobilitazione di cittadini che si sono visti costruire grossi palazzi a due passi da casa senza nemmeno essere avvisati. «Con la Scia c’è meno trasparenza e non c’è una vera istruttoria degli uffici. Se viene usata al di fuori dei casi in cui è consentita, per grossi interventi, è un problema», spiega l’avvocata Veronica Dini, che sta assistendo alcuni cittadini che hanno presentato denuncia in procura. Spesso, aggiunge la legale, «si sente dire che queste inchieste nascono dall’incertezza che aleggia intorno ad alcune norme. In realtà non c’è nessuna incertezza sulle norme».
Se queste inchieste sono state aperte a Milano e non in altre città italiane, spiega ancora l’avvocata Dini, il motivo sta in alcune prassi che il comune del capoluogo lombardo ha adottato da qualche anno a questa parte e che contengono interpretazioni estensive delle norme di settore, la cui legittimità è stata messa in dubbio dalla procura. Questa versione contrasta con quella del comune, che sostiene di aver sempre agito in buona fede e ribatte che il problema nasce a livello nazionale, non locale. «Ritengo necessario un intervento legislativo a livello parlamentare», dice a Open Giancarlo Tancredi, assessore alla Rigenerazione urbana. «La questione vera – aggiunge – è che in questo Paese non si è ancora fatta, dopo decenni di attesa, una legge organica e moderna di regolazione della rigenerazione e tutela del territorio. Si procede con leggi settoriali, parziali e norme regionali talvolta contraddittorie».
Investitori che fuggono, soldi che mancano
Il rallentamento dell’edilizia ha già iniziato a presentare il conto al comune di Milano. Lo scorso luglio, in occasione della manovra di assestamento del Bilancio, l’assessore Emmanuel Conte ha fatto sapere che Palazzo Marino ha incassato oltre 20 milioni di euro di oneri di urbanizzazione in meno rispetto a quelli previsti. D’altronde, sempre nei mesi scorsi, era stato il collega Tancredi a parlare del «crollo verticale», di circa il 50%, delle pratiche per la costruzione di nuovi edifici. Tutti questi numeri trovano conferma anche in uno studio di Scenari Immobiliari, secondo cui il terremoto giudiziario dell’ultimo anno e mezzo metterebbe a rischio fino a 38 miliardi di euro di investimenti immobiliari a Milano. Francesca Zirnstein, direttrice di Scenari Immobiliari, fa notare che ci sono aziende che «iniziano a guardare investimenti fuori città». È il caso della francese Nexity, primo produttore di case in Europa e attiva a Milano dal 2007, che secondo La Stampa starebbe cedendo a un fondo americano tutte le operazioni aperte in città.
«La norma “salva Milano”? A rischio incostituzionalità»
Una possibile scorciatoia per far uscire l’edilizia milanese dallo stallo dell’ultimo anno e mezzo sarebbe dovuta arrivare con l’emendamento “salva Milano”, che è saltato però lo scorso luglio a causa di divisioni interne alla maggioranza di governo. La norma, così ribattezzata perché scritta ad hoc per il capoluogo lombardo, avrebbe dovuto sbloccare la costruzione di nuovi edifici in città, ma ha sollevato parecchie perplessità tra gli addetti ai lavori. Un gruppo di urbanisti, architetti e ingegneri ha scritto una lettera alla commissione Ambiente della Camera per chiedere che l’emendamento non si trasformi in una sanatoria per gli operatori del settore, aggiungendo che «la mostruosa edificazione nei cortili è emblematica del degrado cui si è arrivati». L’iter dell’emendamento potrebbe riprendere a settembre, ma anche in caso di approvazione, osserva Veronica Dini, resterebbero alcuni nodi da sciogliere. «Se intervenisse su cause in corso e fatti del passato, il “salva Milano” sarebbe incostituzionale. Per quanto riguarda il merito, o si modifica l’intero corpus normativo dell’urbanistica, e ci vuole tempo, oppure neppure si risolve il problema per cui la norma è stata pensata», spiega l’avvocata, che è stata invitata a un’audizione alla Camera proprio per parlare della norma. «Da cittadina – aggiunge Dini – trovo indecoroso che Milano abbia bisogno di un condono, per di più a indagini in corso».
Come si esce dallo stallo
Come uscire dunque dallo stallo? Per quanto riguarda le soluzioni sul medio e lungo periodo bisogna guardare al nuovo Piano di governo del territorio (Pgt) a cui sta lavorando il comune di Milano e che detterà le regole per i prossimi anni. «La revisione del Pgt è senz’altro occasione per inquadrare la materia e introdurre regole chiare e in linea con una adeguata attenzione degli interventi edilizi ai contesti urbani e alla partecipazione dei cittadini ai procedimenti», spiega ancora l’assessore Tancredi. In realtà, il comune è già al lavoro da mesi per affrontare la situazione e lo scorso febbraio ha adottato alcuni provvedimenti emergenziali e temporanei. In attesa di conoscere il destino del “salva Milano”, su cui Tancredi dice di auspicare che «prevalga il buon senso e l’interesse pubblico», resta da capire cosa se ne farà di quegli edifici finiti nel mirino della procura. «I cittadini non chiedono tanto condanne, ma soluzioni al problema del carico urbanistico, alla mobilità e all’inquinamento, aggravati dall’imponente numero di edifici residenziali in costruzione», fa notare l’avvocata Veronica Dini. L’ipotesi più probabile è fermare i lavori laddove è ancora possibile, magari sedendosi a un tavolo insieme all’amministrazione comunale per capire se e come modificare il progetto iniziale. Dove gli interventi già sono stati fatti, invece, si potrebbe percorrere la strada della giustizia riparativa. In altre parole: risarcimenti ai cittadini.
Foto di copertina: Piero Cruciatti/Dreamstime
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