Paderno Dugnano, Riccardo C. studia per l’esame di matematica: «Ascoltate i silenzi dei vostri figli, li salverete»

Le parole del cappellano del Beccaria. E quelle dello psicanalista e saggista sul disturbo mentale

Riccardo C. sta studiando nel carcere Beccaria di Milano. L’autore della strage di Paderno Dugnano, che ha ucciso il padre Fabio, la madre Daniela Albano e il fratellino Lorenzo, vuole presentarsi agli esami di riparazione della sua scuola. Per recuperare il debito in matematica. «Mi ha detto che vorrebbe farlo a breve», dice don Claudio Burgio, cappellano del minorile. «Abbiamo parlato pochi minuti. Ho cercato di salutarlo in un momento più tranquillo. Gli ho portato il mio libro “Non esistono ragazzi cattivi”, oltre ai saluti dei parenti», ha aggiunto. Il nonno di Riccardo ieri ha detto che la sua famiglia non lo abbandonerà mai. Il suo avvocato intanto ha chiesto una perizia psichiatrica.


Il silenzio dei figli

Intanto lo scrittore e saggista Vittorio Lingiardi su Repubblica parla del triplice omicidio familiare. E spiega che la diagnosi nel caso di Riccardo deve stare attenta alle generalizzazioni: «La comprensione è fatta di ascolto, empatia, pietas, intuito e silenzio. Non dico che dobbiamo tacere. Il nostro ruolo di psichiatri e terapeuti rimane, ma “pubblicamente” mostra delle fragilità. Interessanti sarebbero anche le voci di sociologi, insegnanti e naturalmente scrittori di oggi e di ieri (Dostoevskij)». E aggiunge che «il raptus non esiste, il dolore mentale non sempre si vede da fuori, la vita virtuale rende virtuale anche la vita reale e quindi anche il gesto omicida in quel momento è “irreale”». Si tratta, spiega Lingiardi, di un paradosso.


Il disturbo mentale

Ma questo accade perché «a volte anche le nostre diagnosi si congelano di fronte al dolore indicibile di vite distrutte dal disturbo mentale. A volte, ripeto a volte, sarebbe giusto intervistare il silenzio: contiene sgomento, rispetto, vicinanza. Poi, piano piano, riprendiamo a parlare, senza formule predefinite e ancora trattenendo il respiro. È un paradosso, lo so. Che ritrovo nei versi di un grande poeta, René Char: “Ci occorre un fiato da fracassare dei vetri. E nondimeno abbiamo bisogno d’un fiato che possa esser trattenuto a lungo”.

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