Paderno Dugnano, il racconto del 17enne: «I miei si sono svegliati e io ero lì col coltello in mano. Poi l’avrei pulito per incolpare altri»
«Ogni tanto i miei genitori mi chiedevano se c’era qualcosa che non andava perché mi vedevano silenzioso, ma io dicevo che andava tutto bene». A parlare è Riccardo, il 17enne che la notte tra sabato 31 agosto e domenica 1° settembre ha ucciso il padre, la madre e il fratellino di 12 anni nella loro villetta di Paderno Dugnano, nel Milanese. Le dichiarazioni rilasciate alla giudice per le indagini preliminari, contenute negli atti dell’ordinanza di convalida della custodia cautelare in carcere, raccontano di un ragazzo preda dei suoi incubi, che covava dentro – non è chiaro da quanto o con quale nitidezza – il piano omicida. Da qualche anno, emerge, Riccardo aveva iniziato a «sentirsi un estraneo» e di aver maturato «l’idea di vivere più a lungo delle persone normali, anche per conoscere il futuro dell’umanità». Eppure, ammette lui stesso, anche le ultime vacanze estive, con la famiglia e gli amici, erano state «serene». Tant’è, nel primo weekend dopo il rientro, dopo una serata di festa nella villetta di casa, tutto è precipitato.
Flashback su una tragedia
Cos’è successo, dunque, quella sera di fine agosto? Il 17enne la racconta così: «È stata la sera della festa che ho pensato di farlo, non avevo ancora ideato questo piano, però avevo pensato di usare comunque il coltello perché era l’unica arma che avevo a disposizione in casa». Quella sera, come noto, la famiglia aveva festeggiato il compleanno del papà. Poche ore dopo, nel cuore della notte, Riccardo si trasformava in un killer. «Quando si sono addormentati sono sceso, ho preso una maglietta nera e l’ho divisa a metà per impugnare il coltello, perché avevo intenzione di pulire il coltello per fare incolpare altri». Poi il 17enne è risalito, diretto verso la stanza della sua prima vittima designata, il fratello di 12 anni. Colpito con decine di coltellate nel sonno. I genitori a quel punto si sono svegliati di soprassalto, sconvolti dalle urla del piccolo. Ma, sostiene ora Riccardo di fronte ai magistrati, non sono accorsi subito nella stanza del massacro. È stato lui, prima, ad arrivare nella loro. Non è chiaro se progettasse di passare alla seconda fase del suo piano. Fatto sta, racconta, che i genitori si sono svegliati, «hanno acceso la luce, e io ero davanti a loro con il coltello in mano». A quel punto «loro mi hanno detto di stare calmo, mi hanno parlato, chiedendomi cosa fosse successo e perché avessi l’arma in mano. Poi sono venuti in camera con me e lì li ho aggrediti». Finita a coltellate a tutti e tre i famigliari stretti, Riccardo dice di aver chiuso loro gli occhi, «forse per pietà».
«Volevo cancellare tutta la mia vita di prima»
Il movente della strage resta avvolto nel torbido dei pensieri che il ragazzo si portava dentro. E che poco alla volta emergono negli interrogatori. «Volevo proprio cancellare tutta la mia vita di prima», ha detto oggi. Eppure, «se ci avessi pensato di più non l’avrei mai fatto, perché è una cosa assurda», aggiunge poco dopo in un sussulto di rimorso. Considerazioni simili il 17enne le avrebbe condivise anche col nonno materno, che in questi giorni ha dato ascolto ai suoi sfoghi nonostante le atrocità commesse. Parlando con i pm, l’uomo ha raccontato di aver intercettato l’intenzione del giovane di «staccarsi dai genitori». Il nonno ha parlato con Riccardo al carcere minorile Beccaria. Quando ha chiesto al nipote perché se la fosse presa anche con il fratellino di 12 anni, il ragazzo ha risposto: «Non sarei riuscito ad abbandonarlo».
Il pensiero alle guerre e l’isolamento
Da dove arriva quel disagio di Riccardo? Difficile dirlo, ma certo perdurava da qualche tempo, anche se forse mai elaborato. «È da quest’estate che sto male, ma già negli anni scorsi mi sentivo distaccato dagli altri. Forse il debito in matematica può avere influito», racconta Riccardo. «Percepivo gli altri come meno intelligenti – continua il ragazzo – e spesso non mi trovavo bene in certi ragionamenti o ritenevo che si occupassero e preoccupassero di cose inutili». Dagli atti emerge inoltre che il ragazzo aveva pensato inizialmente di risolvere il suo malessere andandosene di casa, ipotizzando persino una partenza per l’Ucraina. Ma di aver poi cambiato idea. Nel colloquio con alcuni esperti, il 17enne ha raccontato di pensare spesso alle guerre e di commuoversi al solo pensiero, mentre «questo non lo vedevo in amici e familiari».
La competizione sociale e quel disagio schiacciato dentro
Nelle relazioni, allegate agli atti, degli psicologi che si stanno occupando del suo caso, si mette in luce che il ragazzo parla di un «clima competitivo» che c’era in famiglia, ma anche nello sport e più in generale nella società, un «clima relazionale percepito come critico e competitivo». Malessere sempre celato, represso, tuttavia. In famiglia, avrebbe detto Riccardo nei colloqui, «se c’era il pretesto di litigare io cercavo di non farlo»: non ricorda alcun episodio di conflittualità con i propri famigliari. Il pensiero alle guerre e ai dolori del mondo, sì, lo scuoteva. In estate leggeva libri sulla seconda guerra mondiale, ha raccontato ancora agli psicologi, e pensava, anche quando sentiva i propri familiari lamentarsi per «cose materiali, che c’erano altri che pativano sofferenze maggiori». Atti, quelli dell’ordinanza di custodia cautelare, che nel complesso paiono confermare come il triplice omicidio fosse stato premeditato.
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