Cattedre vuote, sostegno e precariato: perché la scuola è (ancora) nel caos e cosa c’entra il Pnrr

Se il capillare precariato dietro alle cattedre è un problema ormai strutturale, le novità legislative introdotte dal governo hanno creato nuovi nodi da sciogliere

Il nuovo anno scolastico è ormai alle porte. Per alcuni, come gli studenti di Bolzano, è cominciato da una manciata di giorni. Ma il ritorno sui banchi porta si trascina dietro vecchi e nuovi problemi. Se il capillare precariato dietro alle cattedre è un problema ormai strutturale, le novità legislative introdotte dal governo hanno creato nuovi nodi da sciogliere. L’ombra di Bruxelles e gli accordi per il Pnrr impongono un preciso ritmo alle assunzioni e Roma deve rispettarlo, mettendo in pausa alcune regolarizzazioni per favorire un rapporto lineare con la Commissione europea. C’è poi il tema degli insegnanti di sostegno. Le richieste aumentano esponenzialmente, come ha ammesso lo stesso ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, ma i candidati sono troppo pochi e troppo poco specializzati.


Il nuovo e il vecchio che pesa

Si temevano 250mila precari nell’ambito dell’istruzione. In realtà, come ha puntualizzato lo stesso ministro Valditara, «sono 165mila, che diventeranno 155mila a dicembre». Una promessa, quella di diminuire l’instabilità degli insegnanti, che il Ministero ha rispettato per metà. Lo ha ammesso lo stesso Giuseppe Valditara in un’intervista a La Stampa, parlando del precariato come un problema «endemico e strutturale nel nostro sistema». In realtà a quei 165mila precari se ne sono già aggiunti 19mila. Ma da dove vengono? Secondo il Decreto del Presidente della Repubblica “Assunzioni Scuola” del 9 agosto, i posti in organico di diritto, che si basano sul numero degli alunni iscritti e su una stima del numero di classi, ammonterebbero a 64.156 unità. Per l’anno scolastico che viene è prevista la nomina in ruolo di 45.124 docenti. Un terzo di questi in posti di sostegno. Un gap di 19.032 insegnanti (13.247 comuni, 5.785 di sostegno) che dovrà essere riempito con le supplenze e che non tiene conto di tutte quelle cattedre che andranno colmate fino alla nomina effettiva dell’avente titolo. Ecco, dunque, quei 19mila precari in più che andranno a colmare – a tempo – le cattedre vuote.


Questioni di Pnrr

Per quei posti ancora traballanti, l’intenzione del Ministero dell’Istruzione è quella di indire il prossimo mese un concorso Pnrr. Che cosa c’entra il Piano nazionale di ripresa e resilienza? Dal 30 giugno 2022 è in vigore il decreto PNRR 2, legge che ha l’obiettivo di accelerare la realizzazione del Piano. Qui, secondo un accordo tra Commissione europea e il ministro del governo Draghi Patrizio Bianchi, si stabiliva l’assunzione di 70mila nuovi docenti entro il 2024. Ma non docenti qualunque: esclusivamente vincitori di nuovi concorsi appositi. Il governo Meloni ha poi ottenuto da Bruxelles una dilazione: 20mila nel 2024 e nel 2025, 30mila nel 2026. Se l’Italia fallisse nel raggiungere questi obiettivi, almeno una parte dei 24 miliardi dell’ultima tranche Pnrr rischierebbe di non entrare nelle casse di Roma. Questo perché il raggiungimento di quelle assunzioni è ritenuto dalla Commissione una milestone, un pilastro imprescindibile per il rispetto di quanto è stato pattuito. Tornando al Decreto firmato dal presidente della Repubblica, i 45mila insegnanti che diventeranno di ruolo provengono da concorsi canonici, e quei 19mila posti tenuti liberi sono congelati per chi uscirà dalle gare Pnrr. Per questo il Decreto ministeriale 205 del 26 ottobre 2023 prevede «uno o più concorsi» nella fase transitoria fino al 31 dicembre 2024. Uno si è già svolto nel 2023, mentre un altro è in arrivo il prossimo mese.

Un sistema inceppato

Esaurire i 64mila ruoli con precari non legati al Pnrr, secondo Valditara, avrebbe impedito nel 2025 di «bandire concorsi con le regole Ue, pregiudicando l’erogazione dell’ultima rata del Piano». Di diverso avviso è Gianna Fracassi, segretaria generale della Federazione Lavoratori della Conoscenza Cgil. «Sarebbe stato possibile dare subito una certezza a 20mila persone ma il ministro ha deciso di fare altrimenti», ha spiegato. A rendere più complicato il tutto è che il tema si pone su un doppio livello: uno interno («il sistema si sta completamente incartando») e uno esterno («scriveremo alla Commissione: deve comprendere la confusione che si sta creando»). Da cui il paradosso dei paradossi: i vecchi e i nuovi idonei in conflitto tra loro «spesso sono le stesse persone, che continuano a fare e rifare concorsi». Valditara sostiene di aver chiesto a Raffaele Fitto, ministro per il Pnrr e candidato italiano per la prossima Commissione europea, di ottenere maggiore flessibilità futura per quanto riguarda le assunzioni. «Con il cambio in Commissione bisogna attendere – ha puntualizzato Fracassi – ma le immissioni si fanno oggi». Per la Cgil la soluzione sarebbe interrompere la nuova «mania» di indire concorsi «ogni sei mesi, quando prima non si facevano quasi mai». Nell’attesa c’è bisogno di supplenti. E qui nascono altri problemi.

Problemi di software

Anche l’assegnazione dei sostituti è nel caos. Non tanto per questioni politiche quanto tecnologiche. Le cattedre sono conferite da un algoritmo, che gestisce le Graduatorie provinciali per le supplenze (Gps). Il software rielabora tre differenti dati (punteggio, preferenze espresse dagli aspiranti insegnanti, disponibilità delle cattedre) e associa ogni docente a una postazione. Ed è proprio nel mezzo di questo processo automatizzato che si sono registrati numerosi problemi. Le province di Brescia e Gorizia hanno dovuto rifare completamente da zero l’assegnazione delle nomine, invalidando quelle precedenti. Sono stati riscontrati errori procedurali nel conteggio della classifica finale e irregolarità in alcune assegnazioni di sedi. Giovani laureandi hanno ricevuto un posto a discapito di insegnanti con decenni di esperienza alle spalle. Ulteriori lamentele sono legate alla scelta della cattedra. Una volta ricevuta l’assegnazione, l’individuo ha facoltà di rifiutare l’incarico e attendere una postazione migliore. O meglio, ne avrebbe facoltà: non sono pochi i casi in cui il docente è considerato “rinunciatario” ed escluso d’ufficio da assegnazioni successive. Anche la Regione Abruzzo ha registrato problemi simili, ma il direttore dell’Ufficio scolastico regionale ha escluso inceppature tecniche: «L’algoritmo funziona, gli errori sono di natura materiale». Intanto, però, il ministro Valditara ha ordinato di verificare nuovamente «se il programma utilizzato presenta intoppi o errori».

Le nuove specializzazioni

C’è poi un altro tema urgente. Secondo l’Istat, dal 2019 al 2022 il numero di studenti portatori di disabilità è aumentato del 13%, da 299mila a 338mila. A questa crescita notevole non è corrisposto un parallelo adeguamento del numero di professori. «Abbiamo 85mila docenti di sostegno (su 228mila, ndr) che hanno insegnato per almeno 3 anni ma non hanno la specializzazione», ha spiegato il ministro a La Stampa. Una possibilità che, dopo l’approvazione del Decreto legge 71, non è più data. L’articolo 6 del Dl prevede l’istituzione di «percorsi di specializzazione al sostegno indetti da INDIRE», con l’obbligo di acquisire almeno 30 crediti formativi entro il 31 dicembre 2025. E chi non acquisisce la specializzazione non può occupare un ruolo di sostegno. I corsi di INDIRE possono essere sostituiti da percorsi universitari. Ma questi sono a numero chiuso: la Lombardia, regione con più studenti in assoluto, ha solamente disponibilità per 1220 persone. «La responsabilità è degli istituti del Centro-Nord, che hanno troppi pochi posti», ha commentato Gianna Fracassi, segretaria generale di Flc Cgil. «Al Sud ci sono più specializzati, ma il lavoro è al Nord». A sopperire a questa mancanza strutturale sono le università telematiche. Con tutte le cautele del caso: «Non sono abbastanza vigilate», è la posizione di Fracassi. «Ci sono stati casi di “saldi estivi”: promettevano l’acquisizione dei 30 crediti formativi in 14 giorni». E i conti, se per ogni credito sono previste 25 ore, non tornano.

Sostegno non stabile

Alla specializzazione si somma l’assenza di un effettivo riconoscimento da parte dello Stato. Solo una piccola parte delle cattedre di sostegno sono identificate dentro l’organico di diritto. La maggior parte, invece, è considerata “in deroga” perché provengono da richieste specifiche delle famiglie. Le cattedre in deroga rientrano nell’organico di fatto, che prende piede dalla stima delle modifiche che l’organico di diritto può subire al termine delle iscrizioni. In quanto tali, per legge, sono considerate occupazioni temporanee. Ma questi posti non sono così variabili come sembrerebbe far intendere il Ministero: «Il fabbisogno conclamato è ormai stabile intorno ai 130mila supplenti sul sostegno», ha spiegato Gianna Fracassi. «Non stabilizzare questi posti crea una enorme bolla di precariato. E il costo della regolarizzazione sarebbe ridotto, perché il prezzo principale lo pagano le scuole e le famiglie». Questo crea una contraddizione interna: al nord c’è più richiesta di insegnanti, al sud più disponibilità di specializzati. Ma trasferirsi sotto le Alpi costa troppo, e le cattedre di sostegno rimangono vuote. In Piemonte, secondo La Stampa, il 25% dei professori di ogni scuola è di sostegno. Tra questi, uno su due è precario e spesso non specializzato. E la regione è esemplare in negativo anche per il tema cattedre ordinarie: 18mila cattedre, 10mila di queste occupate da precari o ancora vacanti. Il che significa che i due terzi degli studenti di anno in anno cambiano professori. Addio continuità.

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