Giovanni Allevi, il mieloma, la caduta dei capelli e il gattino: «Mi tremano le mani, ma la Natura mi dà forza»

Il musicista: tutto è iniziato con un mal di schiena. Oggi ho imparato a vivere l’attimo

Il musicista Giovanni Allevi ha scoperto due anni fa di essere malato. Ha scritto un libro: I nove doni – Sulla via della felicità, edito da Solferino. E oggi al Corriere della Sera racconta come l’ha scoperto: «Ero per strada, a Roma, mi ha chiamato una dottoressa e mi ha comunicato la diagnosi. Mieloma. Una parola dal suono dolce, ma al tempo stesso insidiosa. La prima sensazione che ho avuto è stato lo straniamento, come se stessi vivendo dentro un sogno, come se fossi uscito da me stesso, come se lo dicessero a un altro. Ricordo il pavimento del marciapiede come se diventasse obliquo, come se fossi dentro una fotografia. Avevo perso il senso della realtà. Stavo già entrando in un’altra realtà. Quella dottoressa però è stata bravissima, le sue parole mi hanno colpito: la diagnosi è il primo passo verso la guarigione ».


Il mieloma e la chemioterapia

Allevi racconta le fasi della terapia: «Un giorno ho sentito un forte bruciore alla testa, e poiché i capelli erano lunghi, ricci e intrecciati tra di loro, li ho persi tutti insieme nel giro di poche ore. Li ho tolti come se fossero una parrucca. Eccomi: calvo, imbottito di psicofarmaci per non cadere nel baratro del panico, ricolmo di oppioidi, dimagrito fino a pesare 63 chili. Immunodepresso, indebolito, con una flebo perennemente attaccata per l’idratazione. Avevo perso tutto, non solo i capelli». Poi è tornato alla musica: «Sono subito andato a vedere a quali note musicali corrispondessero le lettere della parola mieloma, secondo un procedimento matematico già usato da Bach: do – la bemolle – mi – si – re – do – do. Una melodia romantica, dolce, avvolgente, coinvolgente. Che meraviglia».


La nuova composizione

A quel punto ha pensato «che potesse essere lo spunto per una nuova composizione e in ospedale fin dal primo giorno di una lunga degenza ho voluto impegnarmi nella composizione di un brano che fosse costruito su questa melodia». E quindi ha deciso: «Piuttosto che scrivere un diario a parole dove raccontare le mie emozioni, ho voluto farlo in note, che è quello che mi viene più spontaneo. È la mia natura. Avrei attraversato mesi di ansia, momenti di euforia e di dolore, attimi di ebbrezza, speranza e attesa. E li avrei messi in musica». Intanto però «il mio midollo osseo era malato. Erodeva le ossa dall’interno: impossibile descrivere il dolore».

Il busto

Adesso porta un busto per la schiena. «Tutto è iniziato con un mal di schiena durato mesi, l’apice alla Konzerthaus di Vienna, avevo finito di suonare e non riuscivo ad alzarmi, non riuscivo a staccarmi dallo sgabello: lì ho capito che c’era qualcosa di serio e grave. Provavo un dolore lancinante che ho contrastato con una terapia a base di un oppiaceo tristemente famoso, il Fentanyl, che è 100 volte più potente della morfina e che crea effetti collaterali che non avrei mai immaginato: per esempio la sensazione di avere la febbre a 39 fissa, mattina e sera, per mesi. Sfiancante», ricorda.

La risonanza

Una risonanza gli ha fatto vedere che c’era una vertebra molto schiacciata che rischiava di rompersi: «E poteva tranciare di netto il midollo spinale. Significava l’ipotesi concreta di finire su una sedia a rotelle. Una eventualità non ancora scongiurata, rimandata a un futuro indefinito, ma che per fortuna potrebbe anche non accadere. Sono tutte sensazioni con le quali ho dovuto fare i conti per scoprire dentro di me una forza che non avrei mai immaginato».

I tremori alle mani

Ora, oltre al mal di schiena, deve fronteggiare anche i tremori alle mani: «All’inizio si instaura un circolo vizioso: mi stanno tremando le mani. Aiuto. Panico. Le mani tremano ancora di più. A Locarno stavo per alzarmi e annunciare il mio definitivo ritiro dalle scene. Ma il pubblico mi ha dato forza: non gli interessava più la perfezione. Oggi riesco a controllare il tremore con un auto-inganno al cervello. Se mi tremano le dita penso che è bello, che sta andando in scena la mia fragilità, che sono autentico, sono io».

La contemplazione della Natura

Ma ha anche scoperto che la contemplazione della Natura ha un effetto curativo. Grazie a un animale: «In modo spontaneo ho compreso che per accogliere il dolore — non per accettarlo, perché l’accettazione già contiene il senso della sconfitta — mi faceva bene tenere il mio gattino in grembo e respirare. Una pratica che portava a un rilassamento dei muscoli, a un’ossigenazione del corpo, a una diminuzione della percezione del dolore. Un oppioide naturale, il gatto. Così mi liberavo dei pensieri negativi, per arrivare a una sorgente vitale che è dentro ognuno di noi e che ci supera. Un’energia che tutto abbraccia e ci trascende: nella Natura mi immergo e ritrovo il contatto con un’energia ancestrale».

Vivere l’attimo

Oggi, spiega, ha imparato «a vivere l’attimo, ho imparato a non lasciare una minima goccia di vita inascoltata. Ogni alba è una promessa, ogni tramonto è un arrivederci. Ogni giorno puoi rinascere e scoprire dentro di te una forza che non immaginavi: nonostante la difficoltà, la sofferenza fisica e la malattia è possibile addirittura trovare un briciolo di felicità».

Leggi anche: