Gaza, raid su scuola a Nuseirat: 18 morti, 6 sono membri Unrwa. L’Idf: «Tra loro c’erano miliziani di Hamas»

Dura condanna del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres: «Queste violazioni del diritto umanitario internazionale devono fermarsi ora»

Dei nove miliziani di Hamas uccisi nell’attacco contro una scuola a Nuseirat, nella striscia di Gaza tre erano anche componenti dello staff dell’Unrwa. A riferirlo i media locali secondo i quali l’Idf ha identificato e redatto una lista dei nove militanti deceduti in seguito all’attacco di ieri. Il bilnacio del raid è di 18 morti, sei di questi sarebbero stati membri dello staff dell’Unrwa, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi. I feriti gravi sarebbero circa una ventina. Solo nelle ultime 24 ore, secondo il Ministero della Sanità di Hamas le vittime ammonterebbero a 34 in tutta la Striscia. Durissime le parole del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres: «Queste drammatiche violazioni del diritto umanitario internazionale devono fermarsi ora». Mentre l’IDF (Israel Defence Forces) si difende: «Quell’edificio non era più una scuola, ma un centro di comando».


L’attacco alla scuola Al Jaouni

L’azione, condotta dalla IDF e dai servizi segreti dello Shin Bet, è stata condotta nella serata di ieri, mercoledì 11 settembre. L’obiettivo delle forze israeliane era la scuola Al Jaouni, all’interno dell’enorme campo profughi di Nuseirat. Il bombardamento è stato descritto come «un attacco preciso contro i terroristi che operavano all’interno di un centro di comando e controllo». L’edificio secondo l’IDF era effettivamente una scuola, ma da qualche tempo non era più utilizzato per quello scopo. Diversa la versione fornita dalla Protezione civile locale: il complesso sarebbe ancora stato in uso. Non come luogo di istruzione bensì come rifugio per migliaia di sfollati che, lasciata la loro casa, si erano indirizzati verso Nuseirat. A corroborare questa versione è lo stesso Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu: «Una scuola utilizzata come rifugio per 12mila persone è stata nuovamente presa di mira da attacchi aerei israeliani», ha scritto in un posto su X. «Sei dei nostri colleghi dell’Unrwa sono tra i morti», ha aggiunto riferendosi alle notizie dell’uccisione di alcuni membri dell’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi che si sarebbero trovati all’interno o nelle vicinanze di Al Jaouni. Philippe Lazzarini, a capo dell’Unrwa, ha confermato il loro decesso specificando che erano al lavoro per «fornire assistenza e supporto alle famiglie». E specificando che si tratta solo delle ultime vittime di una lunga lista di personale Onu ucciso nella Striscia: a oggi sarebbero 220.


La denuncia dell’Unrwa e i dubbi dell’IDF

Non solo Nuseirat. Secondo l’agenzia di stampa palestinese Wafa l’IDF avrebbe colpito anche il campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia, il campo di Al-Bureij, nel centro, e il quartiere Zeitoun di Gaza City. Oltre che, ancora una volta, la città meridionale di Khan Younis dove un raid avrebbe fatto saltare in aria una casa uccidendo 11 persone. Tra questi sei fratelli, di età comprese tra i 21 mesi e i 21 anni.A riferirlo è lo staff dell’Ospedale europeo. Continuano anche le operazioni in Cisgiordania e saltuari attacchi oltre il confine con la Siria, che nella notte avrebbero provocato due morti. Una serie «infinita e insensata di uccisioni, giorno dopo giorno» che secondo Philippe Lazzarini deriva dal fatto che «il personale e le operazioni umanitarie sono stati senza sosta e chiaramente ignorati dall’inizio della guerra». L’IDF per ora incassa le accuse da parte dei vertici Onu e prende tempo. «Abbiamo chiesto all’Unrwa di fornire i dettagli e i nomi dei lavoratori, al fine di esaminare a fondo la rivendicazione. Ad oggi, nonostante le ripetute richieste, l’UNRWA non ha fornito alcuna risposta», si legge in un comunicato del tenente colonnello Nadav Shoshani. «Inoltre, un’indagine dell’IDF ha suggerito che un numero significativo di nomi (delle vittime, ndr) apparsi sui media e sui social network sono operatori terroristici di Hamas».

Le speranze verso un cessate il fuoco

Intanto sembrano aprirsi spiragli per una prossima tregua. Secondo quanto riporta l’emittente Al Jazeera Hamas sarebbe disponibile a un cessate il fuoco «immediato» sulla base della precedente proposta presentata dai negoziatori statunitensi in data 31 maggio. Senza, dunque, l’aggiunta di nessuna condizione aggiuntiva da ambo le parti. Una decisione che i vertici dell’organizzazione palestinese avrebbero raggiunto al seguito di un incontro con il primo ministro qatariota Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani e il capo dei servizi segreti egiziani Abbas Kamel. Le condizioni sono semplici: il ritiro dell’esercito israeliano dalla Striscia per aprire la strada allo scambio di ostaggi, «al ritorno degli sfollati e alla ricostruzione». Ed escludendo categoricamente qualunque forma di controllo di Tel Aviv su Gaza al termine del conflitto. Ma la situazione da parte israeliana rimane fredda. The Times of Israel ha riportato l’intervista al ministro della Cultura Miki Zohar, in cui il membro del partito Likud (lo stesso del premier Netanyahu) allontana l’accordo. «Ci troviamo di fronte a un’organizzazione terroristica che non è razionale e comprende solo la potenza militare», avrebbe detto Zohar. «Vogliamo davvero un accordo e speriamo che ci sia. Il prezzo che Israele dovrà pagare è pesante».

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