Lavoratori privati, Partite Iva, dipendenti pubblici, manager: quando andranno in pensione e con quanti soldi
Cinque anni di contributi in più per una pensione meno povera. Ma soltanto una carriera professionale continua assicura il 70% dell’ultima busta paga. E un tenore di vita accettabile. Mentre il governo Meloni lavora alle novità sulla previdenza nella Legge di Bilancio, una simulazione di Enasc-Unsic sui profili di lavoro per La Stampa fa i conti in tasca ai lavoratori che presto si ritireranno. E spiega quanto avranno di pensione un dipendente pubblico, uno privato, una partita Iva, un insegnante o un manager. «All’anzianità contributiva massima, si passerà dall’80% del sistema retributivo al 74% dell’ultimo stipendio percepito. Dopo il 2035, si scenderà al 71% dell’ultima busta paga», spiega Walter Recinella. Le due professioni più penalizzate sono gli autonomi e le gestioni separate.
Le professioni e le pensioni
La simulazione sulle pensioni di Enasc-Unsic parte dall’esempio più classico: il dipendente di un’azienda privata. Se oggi ha circa quarant’anni e ha iniziato a lavorare a 25, potrà andare in pensione non prima di aver compiuto 68 anni e undici mesi. Nel 2050 maturerà 41 anni di contributi. Il reddito nell’ultimo anno di lavoro sarà di 24.500 euro. E quindi la sua pensione avrà un importo di 19.271,31 euro. Il lavoratore porterà a casa un assegno pari al 78% del suo stipendio. Lavorando cinque anni in più aumenterebbe la pensione di altri quattromila euro. Una consulente con partita Iva oggi 61enne invece potrà ritirarsi nel 2032 a 69 anni e due mesi. Il reddito stimato nel suo ultimo anno di lavoro supera i 18 mila euro ma la pensione annua prevista per la lavoratrice è di appena 5.596,26 euro: neppure il 31% della sua ultima busta paga da attiva.
La consulente e i dipendenti privati
Se lavorasse fino al 2035, ovvero tre anni in più, porterebbe a casa altri 1.162 euro annui. Poi c’è l’esemipo di una sarta oggi 57enne che ha cominciato a lavorare a 16 anni. La data per la pensione di vecchiaia è di 67 anni e 7 mesi con un’anzianità contributiva di 39 anni e 44 settimane. Nonostante un’interruzione di 5 anni dal lavoro, la futura pensionata potrà contare su una pensione di 13.645 euro annui, pari a quasi il 78% del suo reddito nell’ultimo anno di lavoro (stimato a17.504 euro). Grazie al sistema misto (retributivo e contributivo). Se invece decidesse di usare Opzione donna, accettando di passare per intero con il calcolo contributivo, perderebbe 629,50 euro annui.
Gli insegnanti e i dipendenti pubblici
Un’insegnante 52enne con ingresso nel mondo del lavoro a 27 anni maturerà il diritto alla vecchiaia a 68 anni e un mese se ha svolto altri lavori con inquadramenti diversi da giovane. Quando si ritirerà avrà lavorato per 41 anni e 37 settimane. Ma in tasca avrà il 71% del suo stipendio. Con una pensione pari a 20.071 euro lordi. La dipendente di una pubblica amministrazione con 49 anni di età e il primo versamento contributivo a 37 anni raggiungerà la pensione di vecchiaia nel 2043, quando avrà 68 anni e cinque mesi. Con un reddito annuo lordo stimato nel suo ultimo anno di lavoro di 47.166 euro il sistema di calcolo contributivo, alla gestione dipendenti Enti Locali le riconoscerà un assegno pensionistico dall’importo annuo lordo di 22.682,49 euro. Ovvero, poco più del 48% della sua busta paga.
I manager
Infine, c’è l’esempio dei manager. Una marketing specialist con meno di 40 anni che ha cominciato a lavorare nel 2025 andrà in pensione con la vecchiaia nel 2054, a 69 anni e 2 mesi. Accantonando 43 anni e 36 settimane di contributi. Il reddito presunto nell’ultimo anno di lavoro è di 40.510 euro mentre l’importo annuo di pensione previsto è 33.386 euro: l’82,41% dell’ultimo stipendio. Per un manager (finance) oggi 31enne, che ha iniziato a lavorare a 25 anni, la pensione di vecchiaia arriverà nel 2063 all’età di 69 anni e 10 mesi. I contributi versati saranno 44 anni e 37 settimane. Il sistema di calcolo contributivo gli assicurerà 43.388,94 euro di pensione sui 47.400 euro della sua ultima busta paga: in pratica, più del 91%.
Gli italiani preoccupati
Intanto una ricerca dell’Osservatorio Sara Assicurazioni dice che il futuro pensionistico preoccupa gli italiani. Solo il 13%, infatti, pensa che riceverà un assegno che gli permetterà di mantenere un tenore di vita adeguato una volta uscito dal mondo del lavoro. La maggioranza (80%) si dice invece pessimista sulla possibilità di contare su una pensione di base adeguata e, di questi, il 34% teme che non avrà nemmeno una pensione o risparmi sufficienti cui attingere per integrarla. Tra le paure ci sono il rischio di non autosufficienza e l’impossibilità di sostenere le spese (44%), il dover gravare sulla famiglia (26%) per le proprie necessità economiche e il non riuscire ad aiutarla (25%) per carenza di risparmi. Ben uno su quattro (23%) teme poi di cadere in povertà.
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