La storia di Imane Khelif raccontata dal padre in Algeria: «Meloni? Non doveva dire quelle cose»
È diventata un simbolo di inclusione e sfida alle convenzioni e alla propaganda anti-lgbtqia+ la pugile algerina Imane Khelif, che ha vinto l’oro olimpico a Parigi 2024 nella categoria 66 kg. Ma quale è la storia di Khelif? Originaria di Biban Mesbah, un piccolo villaggio in Algeria, la pugile ha dovuto affrontare molte difficoltà per emergere in uno sport socialmente considerato «da uomini». Suo padre, Omar Khelif, nega con forza le “accuse” secondo cui sua figlia sarebbe una persona trans, dichiarando che Imane è sempre stata una donna e precisando che la loro religione, l’Islam, non contempla neanche queste questioni. «Dio l’ha creata donna ed è rimasta donna», afferma il padre dell’atleta 25enne a la Repubblica.
Gli inizi da ragazzina
Imane Khelif è la prima di nove figli e ha iniziato a raccogliere bottiglie di plastica e pezzi di ferro per pagarsi il biglietto del pullman per andare ad allenarsi a Tiaret, ricostruisce il reportage de la Repubblica. La sua carriera è iniziata a 15 anni, quando, dopo aver giocato a calcio per strada con i ragazzi, è stata notata da un pugile locale, Abdelkader Ben Aissa, che l’ha presentata a un allenatore. Da quel momento, ha iniziato ad allenarsi duramente, spesso con compagni maschi, superando ostacoli sia fisici che sociali. «Prima ha cominciato a giocare a calcio per strada con i ragazzi. Era brava e loro si sentivano minacciati. Si battevano con lei. Lì ha imparato a schivare i pugni dei compagni», racconta il padre Omar.
«Meloni non doveva dire quelle cose»
Nonostante le polemiche sollevate, soprattutto dopo il commento della presidente del Consiglio italiana, che ha insinuato che atleti con caratteristiche genetiche maschili non dovrebbero gareggiare con le donne, Khelif ha continuato ad andare dritta a testa alta alle gare olimpiche, portando a casa anche una vittoria. «Giorgia Meloni non avrebbe dovuto abbassarsi a dire quelle cose», commenta oggi il padre Omar. Che riferisce l’umore dell’atleta in quei giorni: «Durante le Olimpiadi l’ho vista piangere a più riprese, a causa delle polemiche. Ha pensato addirittura di lasciare. Ma alla fine gli attacchi subiti sui social hanno alimentato la sua rabbia, che l’ha fatta vincere. E – conclude – non è mai caduta nella volgarità di chi l’aggrediva. Ha reso onore all’Algeria».