Il ritorno di Side Baby: «I ragazzi non si drogano per colpa della mia musica» – L’intervista
È uscito venerdì Leggendario, terzo album in studio da solista di Side Baby, ex membro della Dark Polo Gang, una di quelle realtà musicali alle quali dobbiamo il successo stratosferico della trap anche in Italia. Vero nome: Arturo Bruni, classe 1994. L’uscita è coincisa con il giorno del suo trentesimo compleanno e forse non è un caso, infatti al netto delle solite storie di strada legate al genere, Side Baby in questo nuovo lavoro decide di lasciarsi andare a tematiche più personali (da notare la splendida Bonnie&Clyde, accompagnato dalla bravissima Mew) e soprattutto al racconto della sua Roma, protagonista indiscussa dell’opera.
Secondo te cos’ha di leggendario questo tuo nuovo disco?
«Diciamo che di per sé è leggendario, perché comunque penso, sento, di aver lasciato un’impronta sulla scena abbastanza forte, che rimarrà. In quel senso leggendario…’sta roba è leggendaria»
Cosa si deve aspettare il tuo pubblico da questo nuovo lavoro?
«Di sentire un me molto in forma»
Cosa troverà di nuovo rispetto al passato?
«Io preferisco vedere quello che faccio come la versione migliorata di quello che ero. Un 2.0, non c’è molta differenza, è più una crescita»
E in cosa ti senti cresciuto?
«Be, prima di tutto l’età. Poi di sicuro con il passare del tempo ho fatto un po’ di allenamento, ho imparato varie cose, mi sento più maturo, su certe cose più sicuro»
Il genere è spesso accusato, a ben ragione o meno, di avere una scarsa attitudine letteraria, spesso i testi sono abbastanza elementari…cosa rispondi?
«Prima di tutto che se stai cercando della letteratura profonda non ti andare a sentire un mio brano, vatti a leggere un libro. Poi dipende qual è l’occhio con cui vedi quello che vedi. Se pretendi di sentire una storia, un racconto quasi cinematografico, molto profondo, non lo troverai nel mio rap, perché la mia è una roba che va molto di getto, è un’istantanea della realtà più che un poema»
Roma è molto presente nel disco…
«Roma probabilmente è la protagonista del disco. Per me è importantissimo ridare a Roma la giusta luce, perché se ne parla troppo poco, soprattutto a livello di rap in Italia»
Secondo te come mai? Perché in realtà i rapper romani sono sempre tutti molto legati al proprio territorio…
«Noi romani siamo molto attaccati alla nostra città, è una città con tanto sentimento, con tanta storia, tanta tradizione, anche diversa da Milano. Napoli la escluderei dal discorso, perché ha da sempre una sua identità musicale, il napoletano è un’altra lingua, c’è un’altra cultura rispetto al resto d’Italia. Per il resto il rap è solo “milanocentrico”: stanno tutti a Milano e chi non è di Milano va a Milano, però non è che c’è questa grande narrazione di Milano nemmeno da parte dei rapper milanesi. Io ci terrei a raccontare Roma come credo di poter fare»
Arrivato alla traccia numero 7 mi sono accorto che il tema armi e droga ricorre molto spesso, praticamente in ogni traccia…Secondo te la trap si sente necessariamente legata a certi temi?
«Non è che uno dice “Devo fare la trap e devo parlare di questo”, magari tu fai già quella vita e la trap la senti come un genere a te vicino. Ma non è che uno si sveglia la mattina e dice “Faccio la trap, devo parlare della strada”. Magari vivi la strada e nella trap ti ci ritrovi. È un genere che ti senti di fare se sei una persona che ha vissuto certe situazioni»
Tu però sei un figlio d’arte. Tuo padre, Francesco Bruni, è un regista e sceneggiatore e tua madre, Raffaella Lebboroni, una popolare attrice. Non è esattamente una di quelle classiche storie di strada…
«No no, io vengo proprio dalla strada! Venire dalla strada non vuol dire che sei un morto di fame e che tuo padre non ha un euro. Io vivo Roma in ogni cazzo di quartiere, in ogni cazzo di via. Conosco tutti, mi rispettano tutti. La gente viene da Milano nel mio quartiere e mi dice “Sono venuto qua perché sapevo di trovarti in piazza”. Se invece parliamo di argomenti come droga, crimine etc etc…Di sicuro non mi autoaccuso, però non è una narrazione inventata. Roma non è un posto facile eh, puoi incontrare facilmente quelle situazioni»
Tu hai anche lavorato con tuo padre. Da artisti – più che da padre e figlio – come avete trovato un punto d’incontro…
«Non so nemmeno se ci sia mai stato un punto d’incontro come padre e figlio… Come artisti il discorso è diverso: a mio padre piace la musica che faccio e a me piacciono i suoi film. Siamo due persone completamente diverse, però è mio padre, io sono il figlio. Ci aiutiamo, se è possibile, anche a lavorare. Poi mio padre ha avuto un successo importante più o meno di pari passo alla Dark Polo Gang, perché ha cominciato a fare il regista quando ero già grande. Quindi quando è stato possibile abbiamo fatto incontrare le due cose»
Secondo te i ragazzi molto piccoli, che poi è il pubblico della trap, cosa trovano di affascinante in certe tematiche che sono, o perlomeno dovrebbero, essere aliene al loro mondo?
«Io penso che più che scoprire la strada attraverso la trap, è più probabile che un ragazzino, che magari vive certe situazioni, si interessi a dei pezzi che lo rispecchiano di più. Per il resto, c’è quel voyeurismo di vedere ciò che è diverso da te. Quindi non è strano che il ragazzino miliardario figlio di un super avvocato si interessi a storie di pazzoidi, anzi magari per lui è anche più interessante. Poi guarda la realtà che viviamo, non mi sembra così differente dalle tracce della Dark Polo Gang: i ragazzini iniziano a pippare la cocaina a dieci anni ormai, la gente non c’ha un lavoro…Non è così strano che siano questi i temi trattati vivendo nella società in cui viviamo. Sarebbe strano se io ti parlassi solo di giocare a padel e andare dall’estetista»
Tu quando scrivi senti una sorta di responsabilità? Pensi che quello che scrivi finirà nelle orecchie di un bambino?
«No, non sento la responsabilità, però mi sono reso conto più volte che magari vedi i comportamenti dei tuoi idoli e li ritieni giusti o normali, ma – è la risposta più vecchia del mondo – sta ai genitori educare i figli. Se un ragazzo è intelligente, ha una famiglia alle spalle, ha un sistema che funziona, non è perché sente una canzone mia che va a drogarsi o a vendere la droga o stare per strada. Il successo di questa roba è dovuto al fatto che viviamo una società che c’ha un sacco di mancanze, la gente non ha una buona famiglia, non ha una struttura, sono tutti mezzi persi»
Tempo fa il Sottosegretario alla Cultura Mazzi, che tra l’altro è stato anche direttore artistico del Festival di Sanremo, ha proposto un protocollo per i testi rap…
«Puoi solo ridere, che devi fare? Poi quando succedono piangi, ma prima si ride. Quando ci sarà un tavolo rotondo per censurare i testi rap, quello sarà il giorno che non rappo più»
Un’altra caratteristica del nuovo mondo del rap è il disimpegno politico nelle canzoni, anche se il genere è nato con determinati presupposti sociali…Qual è il tuo rapporto con la politica?
«Non mi piace assolutamente il nostro governo, non mi piace la piega che sta prendendo la politica in Italia e riguardo la musica penso che siamo in tempi veramente brutti, perché la musica viene usata per accanirsi mediaticamente. Un esempio è quello di Shiva. La musica diventa uno strumento per appesantire un’opinione e non penso assolutamente che sia giusto, perché un conto sono le vicissitudini personali e legali di una persona e un conto è quello che fai come artista, che potrebbe essere pure tutta un’invenzione. Per il resto, hanno appena reso illegale il CBD (un composto non psicoattivo presente nella pianta di cannabis ndr), di cosa parliamo? Stiamo alla frutta. Io c’ho l’«A» di anarchia tatuata sul collo, non c’è molto altro da chiarire»
Nel disco poi all’improvviso arriva Bonnie&Clyde. Cambia la tematica e il pezzo, rispetto agli altri, brilla…
«Di sicuro è stato fondamentale l’apporto di Mew a questo pezzo. A parte che ha una voce bellissima, il suo ritornello ha formato molto il pezzo. Però nella vita mia non è che esiste solo il quartiere, la musica, le situazioni di strada…C’ho anche una vita personale e affetti. Forse è più strano che non ci fosse ancora stato un pezzo così. Poi in verità forse l’impressione è dovuta al sound, perché se ascolti la mia discografia io spesso ho parlato di cose personali»
A proposito di Dark Polo Gang, Wayne, l’unico della Dark Polo Gang a non essere presente nel tuo disco, in una recente intervista ha parlato di un’apertura a una reunion. Ma ha detto che tutto dipende da Tony Effe…
«Ha detto che ci deve pensare Tony, Wayne se n’è liberato così…ha detto “Tony c’ha più follower, ci deve pensare lui” (e ride). No, non è così assolutamente, non decide nessuno. Ora vediamo se ci saranno i presupposti, se ci sarà voglia. Nel mio disco ho collaborato con Pyrex e con Tony. Ho già collaborato con Wayne, per me sarebbe una cosa bellissima, divertente e piacevole tornare. Ora tutti fanno questa domanda perché c’è stata la reunion dei Co’Sang, i Club Dogo, gli Oasis…di sicuro non vi aspettate una reunion della Dark Polo Gang ora che vanno di moda le reunion. Questo è poco ma sicuro, non c’è niente nell’aria, solo una chiacchiera»
C’è qualcosa nella tua vita da artista che faresti diversamente?
«Forse imparerei di più a cantare, a usare la voce. Dedicherei un po’ più di impegno alla musica, ma non c’è niente che cambierei, le cose sono andate come dovevano andare»
Cosa ti piacerebbe che provasse un ascoltatore alla fine di questo disco?
«Di sicuro che si interessi alla narrazione che porto e che magari possa, come la musica ha fatto per me e altri artisti, dare una mano, aiutare, fomentare, far pensare…Tutto quello che fa la musica bella»
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