L’ultimatum di Draghi all’Ue: «Debito comune per generare 800 miliardi l’anno, o l’Europa perderà la sua libertà» – Il video

L’ex premier presenta il suo rapporto al Parlamento europeo e incalza i Paesi nordici: «Chi si oppone a nuove risorse si oppone agli obiettivi che ci siamo dati»

Da Strasburgo – O I leader europei trovano il modo di generare 800 miliardi di euro di nuove risorse l’anno, anche con l’emissione di debito comune, o l’Europa perderà presto la propria libertà. È l’appello ultimativo che Mario Draghi ha lanciato oggi di fronte alla plenaria del Parlamento europeo a Strasburgo. Mezz’ora di speech in cui l’ex premier ed ex governatore della Bce ha nuovamente snocciolato i contenuti del suo rapporto sul futuro della competitività dell’Unione presentato per la prima volta la scorsa settimana a Bruxelles. Decarbonizzazione, sovranità tecnologica, difesa: Draghi ha spiegato ai “nuovi” 720 europarlamentari perché secondo la sua analisi l’Ue rischia di rimanere stritolata dalla concorrenza internazionale e dall’aggressività delle potenze imperialiste, e ha disegnato il suo appello a investire massicciamente in quei tre settori. Che sono non a caso al centro pure delle political guidelines che Ursula von der Leyen vuole guidino l’azione della sua nuova Commissione, presentata ufficialmente poche ore prima nello stesso edificio. «Affinché l’Europa rimanga libera dobbiamo essere più indipendenti. Dobbiamo avere catene di approvvigionamento più sicure per le materie prime e le
tecnologie critiche. Dobbiamo aumentare la capacità produttiva europea nei settori strategici ed espandere la nostra capacità industriale per la difesa e lo spazio», ha sottolineato Draghi. E d’altra parte «se gli ambiziosi obiettivi climatici dell’Europa saranno accompagnati da un piano coerente per raggiungerli, la decarbonizzazione sarà un’opportunità per l’Europa. Ma se non riusciamo a coordinare le nostre politiche c’è il rischio che l’agenda green possa andare contro la competitività».


L’affondo contro chi blocca l’integrazione

Lo sforzo finanziario per tradurre queste ambizioni in realtà è titanico, e l’entità Draghi l’ha indicata chiaramente ormai da giorni, forte delle stime condotte dai tecnici di Commissione e Fai: «almeno 750-800 miliardi di euro di investimenti aggiuntivi annui» rispetto a quelli messi in campo attualmente, vale a dire qualcosa tra il 4,4 e il 4,7% del Pil Ue. Prospettiva spaventosa, specie per quei Paesi “frugali” che vedono come fumo negli occhio qualsiasi nuovo progetto d’indebitamento comune. Draghi, per anni al timone della Bce da Francoforte, lo sa fin troppo bene, ma ciò non lo distoglie dalla sua missione di Cassandra d’Europa. Le preoccupazioni e i dubbi sullo sforzo necessario e sul debito comune sono del tutto legittimi, ma il fatto è – ha argomentato Draghi – che che quelle nuove risorse vanno generate «per finanziare non sussidi, ma investimenti cruciali per la nostra futura competitività», e «non per servire nuovi obiettivi, ma quelli già esistenti!». Dunque, è l’affondo, «opporsi a quelle risorse comuni significa opporsi agli obiettivi su cui già ci siamo messi d’accordo».


Bivio esistenziale

Fischiano le orecchie in molte capitali del Nord Europa, e pure di quelle del neo-Commissario (designato) all’Economia Valdis Dombrovskis? L’ex premier tira dritto. «A me spetta presentre la diagnosi della situazione in cui versa l’Ue e le soluzioni possibili, ma i rappresentati eletti siete voi e sarete voi a dover tradurle in azione», arringa gli eurodeputati. Ma «sono fiducioso che possiamo trovare il consenso» su queste proposte, «anche solo perché le alternative son sempre più cupe. La scelta che abbiamo di fronte è tra la paralisi, l’uscita o l’integrazione», sostiene Draghi evocando il titolo di un grande classico del pensiero politico-economico. «L’uscita è stata provata e non ha funzionato (Brexit, ndr), la paralisi sta diventando con ogni evidenza insostenibile: l’integrazione è l’unica speranza rimasta». E se l’Europa perderà questo treno, potrebbero non essercene altri. «La mia preoccupazione non è che ci troveremo
improvvisamente poveri e sottomessi agli altri – abbiamo ancora molti punti di forza in Europa – ma che col tempo diventeremo inesorabilmente un posto meno prospero, meno equo, meno sicuro e che, di conseguenza, saremo meno liberi di scegliere il nostro destino». Applausi, poi Draghi esce di scena al braccio di Roberta Metsola. Ora, anzi per i prossimi cinque anni, la palla sta ai decisori europei.

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