Il nuovo governo Ue parte in salita. L’esperto Alemanno: «Molti commissari rischiano di saltare alle audizioni» – L’intervista

Il docente di diritto europeo all’Hec di Parigi boccia la nuova squadra della leader tedesca: «Addio ai valori fondamentali dell’Ue, con il benestare della Commissione»

Una Commissione spostata platealmente a destra, di livello tutto sommato «mediocre» rispetto alle sfide titaniche che l’Ue ha di fronte, e che dunque non sarà nella posizione di tradurre in azione le ricette-shock raccomandate da Mario Draghi come il quadro storico imporrebbe. È tutt’altro che tenero il giudizio del nuovo esecutivo Ue a guida Ursula von der Leyen che dà Alberto Alemanno, docente di diritto europeo all’Hec di Parigi, fondatore dell’ong The Good Lobby e tra i più attenti osservatori di questioni Ue. Impossibile, al di là del mix di ruoli e deleghe «cucinato» da von der Leyen, tralasciare la caratura politica di destra della nuova Commissione, che fa il paio con l’oblio sempre più evidente di alcuni valori fondamentali attraverso l’Europa. Sapendo che quello disegnato ieri, comunque, non sarà il Collegio di Commissari che prenderà le redini dell’Ue tra qualche settimana: nel mezzo, con le sue temute audizioni, il Parlamento europeo vorrà prendersi con ogni probabilità lo scalpo di qualcuno tra i candidati più discutibili. E due membri designati sono in prima linea per la bocciatura.


Sei vicepresidenti esecutivi, tutti sullo stesso piano e tutti al primo mandato. Il von der Leyen bis sarà una Commissione sempre più accentrata sui poteri della presidente tedesca?


«Von der Leyen conterà su ben 15 membri del Collegio del Ppe più due di gruppi che stanno alla sua destra: 17 su 27 in totale. Quella appena nata sarà quindi una Commissione dal chiaro baricentro politico conservatore, con lo sguardo rivolto anche più a destra. Tutti i portafoglio più significativi vanno a esponenti di quelle famiglie politiche, con la sola eccezione della Concorrenza/Transizione ecologica alla socialista Teresa Ribera. Questo darà a von der Leyen un controllo politico senza precedenti, anche perché i vicepresidenti esecutivi non avranno più gerarchie tra di loro come nei precedenti Collegi, ma supervedranno dei cluster di politiche. Di fatto si creano in questo modo dei Commissari di Serie A e altri di Serie B, e i primi sono tutti molto allineati nel sostegno a von der Leyen, che non avrà più antagonisti interni come Breton o Borrell».

Ciascuno dei Commissari designati dovrà ora passare per le forche caudine del Parlamento europeo. Lei sostiene che un numero «senza precedenti» di essi potrebbe essere bocciato nel processo di audizioni. Perché? E chi rischia di più?

«Già da mesi prevedevo indipendentemente dalla squadra di von der Leyen che con la nuova dinamica Parlamento-Commissione-Consiglio emersa dopo le ultime elezioni europee ci fossero tutte le premesse per uno scrutinio politico particolarmente severo. Un terzo dei nuovi parlamentari europei si pone in maniera molto antagonistica rispetto al Collegio dei Commissari entrante e quindi farà le pulci in modo inedito ai candidati. Ora la struttura proposta della Commissione e una serie di scelte individuali per i vari portafogli porteranno senza dubbio alla caduta di alcune teste nel doppio esame, giuridico e politico, cui ciascuno dovrà sottoporsi: chi per conflitto d’interesse, chi per questo o quello scandalo, chi per carenze di expertise sulla delega prevista. I nomi più evidentemente a rischio sono quelli di due uomini: Glenn Micallef, giovane, inesperto e proveniente dal sempre complicato ambiente politico maltese, e Olivér Várhelyi, il Commissario ungherese uscente che negli scorsi anni ha più volte violato il Codice etico della Commissione. Questi due potrebbero non arrivare neppure al secondo step delle audizioni. Per altri – come Séjourné o Fitto – la messa sotto esame sarà più squisitamente politica per i leader nazionali cui sono strettamente legati. E alla fine von der Leyen potrebbe essere costretta a ristrutturare la composizione dei portafogli rispetto a quella, poco “leggibile” dai cittadini, presentata oggi».

Ai cittadini più degli organigrammi interessano certamente le politiche Ue e i loro effetti concreti. Mentre von der Leyen sceglie l’austriaco Brunner come nuovo Commissario agli Interni e all’Immigrazione, in Germania un governo di centrosinistra reintroduce i controlli a tutte le frontiere esterne. C’è da temere un arretramento sui valori fondamentali Ue?

«Questa Commissione sancisce il superamento dell’Unione dei valori e va nella direzione di un’Unione geostrategica di natura pragmatica disposta a compromettere i valori fondamentali in favore di una visione da “falchi”. La nuova accoppiata formata da Brunner agli Interni e Suica al Mediterraneo segnala piuttosto chiaramente la volontà di guardare all’immigrazione come fenomeno di sicurezza e protezione, non certo come fenomeno umanitario da affrontare alla luce dei valori fondamentali Ue. Quanto alla Germania, quel che è accaduto negli scorsi giorni è molto preoccupante perché sancisce la fine di Schengen, uno dei se non il beneficio principale conferito ai cittadini Ue. Vedere un Paese fondatore di Schengen e dell’Ue reintrodurre controlli a tutte le sue nove frontiere esterne, nel cuore d’Europa, senza alcun fondamento scientifico e senz’aspettarsi alcuna reazione da parte della Commissione la dice lunga sul fatto che questo sarà il nuovo tono, con un’ampia convergenza tra destra e sinistra su questa nuova concezione del fenomeno migratorio che nessuno sembra aver più il coraggio di mettere in discussione».

A mettere d’accordo destra e sinistra potrebbe essere però in teoria anche il piano Draghi, presentato non a caso in parallelo alla nuova Commissione. Lui ha suonato la carica in forma di ultimatum, e molti gruppi politici almeno a parole lo hanno lodato. Ci sono le condizioni per tradurlo in realtà?

«La diagnosi di Draghi è assolutamente chiara e indica in modo univoco ciò che tutte le forze politiche per lo meno centriste dovrebbero condividere per il futuro dell’Ue. Tuttavia così non sarà. Credo che von der Leyen abbia dovuto chiedere questo rapporto e abbia cercato delle ricette: alcune di quelle verranno prese, copiate, incollate e adattate alle priorità politiche. Ma l’agenda Draghi non rappresenta la stella polare di questo nuovo ciclo politico: non mi sembra proprio che la classe politica di questa nuova Commissione sia allineata su un progetto che fondamentalmente presuppone una federalizzazione, una condivisione di un progetto politico, non solo economico. Insomma non ci sono i presupposti né istituzionali né politici perché quell’agenda possa realizzarsi nei prossimi cinque anni».

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