Google, la Corte di Giustizia Ue annulla la multa da 1,5 miliardi di euro: «Nessun abuso di posizione dominante di AdSense»

La Commissione europea aveva comminato l’ammenda nel 2019 a causa di presunte limitazioni alla concorrenza nel campo pubblicitario

Google non dovrà pagare la multa da 1,5 miliardi, legata in particolare alla piattaforma AdSense. È questa la decisione della Corte di Giustizia Ue. Un’occasione più unica che rara in campo europeo, dove negli ultimi anni la Cgue ha sempre dato battaglia alle big tech con l’intenzione di regolamentare e regolarizzare il mercato del digitale. Ribaltata così la richiesta della ex commissaria alla concorrenza Margrethe Vestager. Secondo i giudici sarebbero stati commessi «errori di valutazione». In particolar modo riguardo alla «durata delle clausole contrattuali che la Commissione aveva qualificato come abusive».


AdSense e l’accusa della Commissione

Il caso ruota attorno ad AdSense, una piattaforma pubblicitaria che Google gestisce dal 2003. tramite questa piattaforma ha sviluppato il servizio AdSense for Search, che funge da intermediatore pubblicitario online. In poche parole, dà la possibilità agli editori e ai gestori di siti web con motori di ricerca integrati di visualizzare annunci pubblicitari collegati alle query, cioè alle ricerche degli utenti su quei siti. In questo modo gli editori avevano diritto a una percentuale dei ricavi per la visualizzazione degli annunci.


Secondo la Commissione europea, gli accordi che Google stipulava contenevano clausole che filtravano notevolmente o addirittura eliminavano la possibilità dell’utente di visualizzare servizi concorrenti. Le segnalazioni, fatte da numerose imprese alle autorità antitrust di riferimento in vari paesi, sono per l’appunto confluite nelle mani dell’esecutivo europeo. Tra le aziende segnalatrici ci sono anche big come Microsoft, Expedia e Deutsche Telekom. La Commissione, dopo attente indagini, aveva concluso che le clausole imposte dalla multinazionale di Mountain View violavano il diritto alla libera concorrenza. E ha individuato, nel marzo 2019, tre violazioni differenti che sono state considerate riunibili in un’unica infrazione decennale (da gennaio 2006 a settembre 2016). L’ammenda stabilita per tale comportamento era di 1.494 milioni di euro.

La posizione della Cgue

Di diverso avviso è la Corte di Giustizia. «Il Tribunale ritiene che la Commissione non abbia dimostrato che le clausole in questione abbiano, in primo luogo, scoraggiato l’innovazione», si legge nel comunicato stampa. «E in secondo luogo, che abbiano aiutato Google a mantenere e rafforzare la sua posizione dominante sui mercati nazionali della pubblicità di ricerca online in questione. E, infine, che abbiano danneggiato i consumatori». Mancherebbero, dunque, elementi su cui basare l’accusa di abuso di posizione. E non sarebbe nemmeno chiara la modalità con cui Google avrebbe convinto gli editori e i gestori di siti web a non affidarsi a intermediari concorrenti. Il Tribunale, dunque, non ha rilevato concrete azioni da parte dell’azienda californiana che avessero l’obiettivo di impedire ai concorrenti il libero accesso al mercato dell’intermediazione pubblicitaria. Una piccola vittoria per Google, una settimana dopo essersi visti comminare dalla stessa Cgue una multa di oltre 2 miliardi di dollari.

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