Che fine farà il Green Deal? I «superpoteri» della neo commissaria Ribera e il freno dei Popolari
Tra una delega alla “giustizia intergenerazionale”, un macro-portafoglio dedicato a “persone, abilità e preparazione” e una nuova direzione generale per il Mediterraneo, non pochi ieri – anche ai piani alti dei governi e delle istituzioni Ue – hanno dovuto prendere una pastiglia contro il mal di testa per capire chi si occuperà di cosa, nella nuova Commissione von der Leyen. Dopo una lunga estate di meditazione e lavorio politico, martedì mattina la 65enne tedesca ha sfoderato in 20 minuti la sua nuova squadra per i prossimi cinque anni, sciorinando nomi, deleghe e missioni. Presto s’è capito, sul piano politico, che a far mambassa d’incarichi è in primis il Ppe, a entrare per la prima volta nella stanza dei bottoni pure l’Ecr, mentre ai Socialisti restano le briciole, e ai Verdi neppure quelle. Riflesso impietoso della composizione dei governi Ue. Ma chi sarà davvero al timone nel prossimo quinquennio? Soprattutto, chi a guidare l’attuazione (o meno) del programma più strategico e delicato dell’Ue, il Green Deal?
L’assalto delle destre al cantiere verde
Non è un segreto che nell’ultimo spezzone della scorsa legislatura le destre in crescita un po’ in tutto il continente abbiano tentato di dare l’assalto al programma-simbolo dell’Ue, che nel 2019 von der Leyen aveva lanciato in grande stile sotto la spinta delle piazze di Greta Thunberg e dell’«onda verde» elettorale. A essere rimessi in discussione uno dopo l’altro nell’ultimo anno sono stati vari mattoni del Green Deal: la legge sul ripristino della natura, la direttiva sulle «case green», lo stop ai motore a combustione entro il 2035, gli sforzi di riduzione di CO2 nel comparto agricolo. Su alcuni di questi dossier i negoziati inter-istituzionali hanno poi partorito delle versioni di compromesso che hanno evitato di buttare al vento il lavoro fatto. Ma su altri due temi caldi – auto e agricoltura in primis – la partita è destinata ora a riaprirsi. E il conflitto politico potrebbe riesplodere, anche dentro la Commissione stessa.
La «vice-regina» spagnola
A guidare le danze infatti dall’alto del suo super-ruolo nel nuovo esecutivo Ue sarà Teresa Ribera. La vicepremier spagnola uscente è al debutto come Commissaria (così come tutti gli altri vicepresidenti designati), ma viene da un percorso di governo lungo e solido: sei anni da ministra della Transizione ecologica a Madrid, preceduti da molti altri a seguire gli stessi dossier come alta funzionaria e negoziatrice internazionale. Di lei Pedro Sanchez in questi anni si è fidato ciecamente, e Ursula von der Leyen sembra voler fare lo stesso. Per lei ha ritagliato infatti un job title pesantissimo: vicepresidente esecutivo per una Transizione pulita, giusta e competitiva. Sarà lei in altre parole a guidare tutto il lavoro legato alla transizione ecologica, ma anche a gestire i poteri più incisivi (e temuti) della Commissione, quelli di sorveglianza antitrust e sugli aiuti di Stato. E il modo in cui intende occuparsi della prima parte del suo incarico non è un segreto: mantenere se non rafforzare le ambizioni di lotta al cambiamento climatico e decarbonizzazione dell’economia europea, in linea con il programma elettorale dei Socialisti di cui è esponente di peso.
September 17, 2024
Colleghi o serpi in seno?
«Onorata della designazione. Insieme saremo una squadra che lavora verso un obiettivo comune», ha twittato Ribera poco dopo la presentazione della nuova Commissione von der Leyen. Parole che sembrano ben più di un pro forma, alla luce della sfida tecnico-politica che l’attende. Perché a lavorare sui dossier climatici e industriali su cui si gioca il futuro dell’Ue – come ha richiamato Mario Draghi con toni ultimativi nel suo rapporto – saranno insieme a Ribera diversi altri Commissari. Almeno cinque o sei – sempre che ognuno degli interessati superi il prossimo mese l’esame delle audizioni al Parlamento europeo: l’olandese Wopke Hoekstra designato per la delega di “Clima, Net Zero e Crescita pulita”; la svedese Jessika Roswall, indicata per “Ambiente, Resilienza idrica ed Economia circolare competitiva”; il greco Apostolos Tzitzikostas, designato per “Trasporti e turismo sostenibile”; il danese Dan Jorgensen, Commissario in pectore a Energia e Case; e infine l’altro vicepresidente francese Stéphane Séjourné, che supervedrà le politiche industriali. Nota rilevante sul piano politico: i primi quattro di questi sono tutti esponenti del Ppe, la famiglia di centrodestra europea più che tentata dalla frenata sulle politiche verdi, e i cui membri in Spagna fanno dura opposizione al governo Sanchez. Nell’incoronare Ribera “vice-regina” del prossimo quinquennio, von der Leyen le ha maliziosamente messo alle calcagne tre o quattro mastini Ppe per frenarne le ambizioni?
Le minacce del Ppe e le garanzie sul futuro
A qualcuno certamente piacerebbe fosse così. «Che non s’azzardi in nessuna circostanza a proseguire inalterate le politiche di Frans Timmermans», ha detto stamattina a Politico Peter Liese, che guida la delegazione della Cdu alla commissione Ambiente del nuovo Parlamento europeo. Senza timore di nascondere la strategia auspicata. «Spero che gli altri Commissari spingano per questo, se necessario entrando in conflitto con la vicepresidente». Ribera farà bene a mettere l’elmetto, prima di prendere possesso del suo ufficio a Berlaymont. Chi la conosce assicura però che non è tipa da farsi intimidire. Anche perché von der Leyen le assicura al momento piena protezione: «Voglio che sia tu a guidare il lavoro per assicurare che manteniamo la rotta rispetti ai nostri obiettivi definiti nel Green Deal europeo», sta scritto nero su bianco nella lettera d’incarico che le ha preparato. Sia per assicurarsi il supporto dei Verdi alla rielezione o per convinzione, d’altra parte, la leader tedesca ha posto al centro delle political guidelines su cui si baserà il lavoro del prossimo quinquennio un nuovo cantiere verde: restano gli obiettivi del -90% di emissioni entro il 2040 e della neutralità climatica entro il 2050, da raggiungersi tramite un nuovo ambizioso Clean Industrial Deal. E in un’ampia gamma di settori dell’industria europea, sottolineano più fonti a conoscenza del dossier a Open, gli operatori hanno da tempo “metabolizzato” regole e obiettivi Ue e avviato le relative trasformazioni.
Variabile olandese
Resta il fatto che, in prospettiva, Ribera dovrà interfacciarsi quotidianamente con una serie di Commissari che non condividono necessariamente le sue vedute. Un documento interno della Commissione visto da Open chiarisce infatti che non sarà lei a “comandare” direttamente il lavoro delle Direzioni Generali della Commissione che partoriscono i progetti legislativi e gestiscono i programmi esistenti. Alla socialista spagnola risponderà direttamente solo la DG Competizione. La DG Clima riporterà all’olandese Hoesktra, la DG Ambiente alla svedese Roswall, la DG Move al greco Tzitzikostas, la DG Agricoltura al lussemburghese Hansen e solo la DG Energia ad un altro socialista “allineato”, il danese Jorgensen. L’impressione fra gli addetti ai lavori è che il principale interlocutore / potenziale avversario interno di Ribera sarà proprio Hoekstra: espressione di uno dei governi più a destra dell’Unione, già “testato” da von der Leyen nell’ultima parte del precedente mandato e incaricato di disegnare insieme a Ribera lo strategico Clean Industrial Deal. «Non si può negoziare con il pianeta. Esiste una realtà scientifica e cioè che il mondo si sta riscaldando, in Europa più velocemente che altrove. Quindi non c’è una soluzione alternativa: dobbiamo tirare dritto con le politiche per il clima, combinandole con la competitività e la transizione giusta», assicurava quest’estate Hoekstra in un’intervista a Open. Manterrà la promessa?
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