Doping, il tennista Stefano Battaglino squalificato 4 anni per aver assunto Clostebol: le differenze dal caso Sinner
Il massimo della pena, quattro anni di squalifica per aver assunto il clostebol, la stessa sostanza a cui era risultato positivo il numero 1 del tennis Jannik Sinner. Situazione simile, ma dinamiche ed esiti legali differenti per il collega Stefano Battaglino, 26 anni, oltre il numero 500 della classifica Atp. L’atleta infatti dovrà stare lontano dal campo di gioco. Mercoledì 18 settembre il Tribunale di Arbitrato Sportivo (Tas) di Losanna ha confermato la squalifica che gli era stata inflitta in primo grado dall’International Tennis Integrity Agency (Itia). Come riporta il Corriere, la positività di Battaglino era stata riscontrata durante il torneo di Casablanca del 2022.
Il caso
Il 14 settembre 2022, durante il torneo di Casablanca (Marocco), Battaglino sta sfidando al primo turno lo spagnolo Barreto Sanchez. L’atleta italiano chiama un time out medico e richiede l’intervento del fisioterapista: vuole provare a risolvere con un massaggio una contrattura a un polpaccio. Il terapista, ingaggiato dagli organizzatori del torneo, esegue l’operazione «con una lozione e a mani nude» come attestato da un video. Tre giorni dopo la partita Battaglino viene trovato positivo al clostebol che è contenuto solo in spray e pomate cicatrizzanti.
Il ricorso
Battaglino nel processo di primo grado ha provato a chiamare a testimoniare il massaggiatore coinvolto, ma non si è mai presentato. Così l’Itia gli aveva inflitto la squalifica di quattro anni. Il 26enne era difeso dal professor Giuseppe Pieraccini, tra i massimi esperti di antidoping in Italia, che aveva mostrato i test antidoping precedenti al match che erano completamente «puliti». L’Itia però non aveva creduto a Battaglino per due ragioni: l’incapacità dell’atleta di dimostrare il nesso causale, al contrario di Sinner, tra massaggio del fisioterapista e positività; il fatto che il clostebol non risulta in vendita in Marocco secondo le autorità. Battaglino aveva comunque presentato ricorso al Tas per ridurre quantomeno la pena a due anni per «mancanza di intenzionalità». Ma il tribunale svizzero ha confermato la sentenza.
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