Festival di Open, Bernini: «Per fare tornare in Italia i cervelli in fuga non bastano gli sgravi fiscali, servono infrastrutture per la ricerca» – Il video

La ministra dell’Università dal palco di Piazza Garibaldi a Parma: «Ho cambiato la riforma Gelmini, andava adattata alla contemporaneità»

Dopo l’intervista al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, a salire sul palco del «Festival di Open – Le sfide del futuro» – in programma a Parma dal 20 al 22 settembre – è Anna Maria Bernini, titolare del dicastero dell’Università e della Ricerca. L’esponente del governo Meloni, intervistata dal direttore Franco Bechis e dagli studenti e dalle studentesse dell’Università di Parma, fa un commento sulla ricerca e sulla fuga dei cervelli. «L’oro del nostro Paese sono la cultura, la formazione, l’alta formazione. Non si tolgono le risorse dalle “miniere”», afferma. «Noi stiamo lavorando tanto sulla ricerca, mai abbastanza. Ma siamo a buon punto, stiamo investendo fondi sia nazionale ma anche del Pnrr, sulla ricerca. E bisogna creare delle infrastrutture per la ricerca che consentano ai cervelli di andare, tornare e portare altri cervelli nel nostro Paese». Per la ministra, dunque, l’obiettivo è fare tornare i ricercatori. E per fare ciò «bisogna dare luoghi della ricerca, non solo sgravi fiscali. Se non dai loro una comunità scientifica intorno a cui riunirsi, non basta un pc e una stanza».


I fondi

«I fondi sulla ricerca non sono abbastanza se non riusciamo a far tornare i nostri cervelli». Sui fondi, precisa Bernini, «ci sono 11 miliardi extra sulla ricerca, che sono tantissimi per noi, dati dal Pnrrr, da mettere dove? Non per fare spesa corrente, bensì per fare investimenti. Abbiamo coinvolto le università, gli enti di ricerca, le imprese, gli enti territoriali in infrastrutture». Ciò che è essenziale, per la ministra, per fare tornare i cervelli in Italia.


La didattica a distanza e il freno alle università telematica

«Non voglio fare regali alle università telematiche, ma voglio dare loro delle regole», spiega Bernini, parlando del proliferare di corsi digitali e a distanza. «Il Covid ci ha costretti a cose che prima non facevamo, noi abbiamo avuto una specie di spinta in avanti, anche tecnologicamente, abbiamo cominciato a comunicare, formarci in maniera diversa. Non possiamo ignorare il fatto che esista una didattica innovativa, a disposizione non solo delle università telematiche ma anche di quelle tradizionali. Su questo costruiamo delle soluzioni in comune, io devo regolare la qualità dell’offerta formativa», sottolinea.

Per la ministra Bernini «l’università dovrebbe essere un po’ di tutto, dovrebbe formare persone per mestieri che in parte non esistono», dice rispondendo alle domande degli studenti dell’università di Parma presenti in piazza. «Noi dobbiamo imparare a orizzontalizzare la nostra professione – continua – a proiettarla verso il futuro. Ciò che sto cercando di fare, nel rispetto dell’autonomia universitaria, è orientare le università verso l’interdisciplinarità. Intersecare, dunque, le scienze dure (STEM) e le scienze umanistiche è la ricetta vincente». 

Bernini cambia la «riforma Gelmini»

«Ho firmato ieri un decreto per cambiare la riforma Gelmini», spiega Bernini precisando, inoltre, che «andava adattata alla contemporaneità». Anche perché «attualmente il 40% degli studenti italiani ha la borsa di studio e le università fanno di tutto per aumentare il numero di studenti iscritti. Questo meccanismo aveva creato un cortocircuito che andava sistemato», afferma.

Alcune università dovrebbero «federarsi»

Per Bernini, inoltre, le università «sono troppe». «La politica – spiega – ha deciso di fare un’università per ogni territorio: non si può. Perché spesso – continua – c’è più personale docente, che studenti. Io non posso dire loro di chiudere, ma di federarsi. Posso incentivarle a federarsi. Non ha senso farsi concorrenza tra di loro e sprecare fondi», afferma. Sulla crisi abitativa, Bernini non ha dubbi: «I posti letto sono un dramma, un dramma vero. In 50 anni di storia repubblicana si sono creati 40mila posti letto in tutto. Che sono insufficienti. La mia precedessora, con il Pnrr, ha impegnato noi tutti ad arrivare a 60mila al 2026. E 40mila più 60mila sono sufficienti. Ma dobbiamo pensare a delle soluzioni immediate», spiega.

Intelligenza artificiale e università

Per la ministra al centro dell’intelligenza artificiale ci deve essere sempre «la persona». «Le nostre università non sono tutte uguali – spiega Bernini -, un po’ come noi. Ogni ateneo ha una sua cifra: ci sono i Politecnici, poi altre università generaliste che hanno diverse offerte formative». Ma tutte, sottolinea, «devono fare i conti con la tecnologia». E «l’intelligenza artificiale – continua – non deve essere una dittatura dell’algoritmo. Dobbiamo creare – come spiega Monsignor Paglia – un’algor-etica: c’è sempre la persona al centro, che programma gli algoritmi e che valuta la qualità dei dati. L’Ai è un detonatore pazzesco di intelligenze umana – conclude Bernini -, ma quello che viene fuori è l’umano che lo valuta. A monte e valle dell’Ai ci deve essere sempre la persona».

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