Festival di Open, cosa resta di Parigi 2024. L’oro Ghiretti: «La vittoria più importante? Le persone sugli spalti»

Giorgia Villa, Giulia Ghiretti e Simone Barlaam al Festival di Open

Tredici medaglie olimpiche sul palco di Parma 2024. Se si dovessero contare quelle ai campionati italiani, europei o mondiali il numero lieviterebbe oltre il centinaio. Tre nomi, sicuramente noti. Giorgia Villa, ginnasta classe 2003 argento a Parigi 2024 nella prova a squadre di ginnastica artistica. Giulia Ghiretti, parmigiana fresca di un’oro nella vasca paralimpica. E Simone Barlaam, quattro medaglie del metallo più prezioso – con annessi sei record mondiali – tra le Paralimpiadi di Tokyo 2020 e Parigi 2024. Tutti reduci dalla spedizione più vincente della storia italiana dei cinque cerchi. Cosa è rimasto di quella esperienza? «Per la prima volta sapevo di poter salire sul podio. Ma la vittoria più importante sono state le ottanta persone che erano sugli spalti a tifare per me», ha confessato Giulia Ghiretti.


Parigi e le sue novità

La tensione, come normale quando ti giochi tutto, è tanta. Ma, ha continuato Ghiretti, «una volta scesa in acqua alle batterie del mattino, ero ormai entrata in gara. All’Olimpiade si tira una riga, si è tutti sullo stesso piano. Qualcuno vince, qualcuno no». E lei ha vinto. Due volte: «La medaglia più bella è stata condividere la mia vittoria, vedere sugli spalti tutte quelle persone per me è stato qualcosa di unico». Per Giorgia Villa, invece, Parigi è stato sinonimo di rivincita. Un brutto infortunio l’aveva fermata a tre giorni dalla partenza per Tokyo: «Vedere il proprio sogno sfumare così, per un’atleta che lavora fin da quando ha tre anni per raggiungere il suo sogno, è stata tosta. Grazie a famiglia amici e compagni sono riuscita a ritirarmi su. E poi… a Parigi è arrivata la medaglia».


Simone Barlaam è rimasto invece incantato dalla quantità di gente che riempiva gli spalti del palazzetto: «C’erano 17mila persone, mattina e pomeriggio. Non l’avevo mai provato sulla mia pelle». Poi si rivolge ridendo alla compagna di vasca Giulia: «Avevo sicuramente meno persone di lei sulle tribune, ma le ho rubato un po’ di tifo».

La nuova attenzione del pubblico

Ma, dopo i trionfi prima di Tokyo e poi di Parigi, nasce un’altra domanda: cosa è successo al movimento italiano? Perché questa crescita improvvisa? Oppure, semplicemente, il grande pubblico se n’è accorto solo ora… La seconda opzione è quella preferita dai tre atleti. «I giornalisti hanno raccontato molto di più a Tokyo, perché con la pandemia non poteva esserci pubblico in presenza. A Parigi ancora di più: eravamo in Europa, vicini. C’era tanta voglia di esserci. Il bello dello sport è che riesce a far emozionare e coinvolgere. E per quanto riguarda la copertura televisiva, la Rai ha fatto tantissimo: non siamo macchine ma dietro c’è una storia. E questo è venuto fuori», ha spiegato Ghiretti. L’esperienza olimpica, però, ha anche le sue scomodità. Durante l’ultima edizione, è diventato virale il racconto dei letti di cartone e di una mensa scadente. «Io ho dormito benissimo, me lo sono portato da casa», ha riso Barlaam. «Il cibo non era il massimo, ma gli atleti sono abituati a farsi andare bene tutto. Rispetto a Tokyo il villaggio era più piccolo ma molto più vivo». Anche secondo Giorgia Villa letti e cibo sono temi laterali: «Alla fine sei lì per fare Olimpiadi. Come mangi e come dormi va in secondo piano. Poi, se riesci a farlo bene è molto meglio».

L’ironia sulla disabilità? «È un shock, ma attira»

Altro tema molto discusso durante il mese di agosto è stata la gestione dell’account social delle Paralimpiadi. Con la pubblicazione di video ironici, quasi dissacranti, sugli stessi atleti. Ma anche con le interviste del viralissimo Rigivan Ganeshamoorthy. «Ha fatto un po’ effetto shock. Se in passato non ci filavano di striscio, è un modo per colpire chi sta usando i social in quel momento. E quell’impatto rimane dentro, e attira», è il commento di Barlaam. «Far vedere la quotidianità è la chiave: quando uno non conosce, le cose spaventano e cerca di tenerle lontane da sé», gli ha fatto eco l’altro oro Paralimpico Giulia Ghiretti. «Bisogna far capire cos’è la normalità. Perché siamo persone, al di là della disabilità».

Ma nel racconto della disabilità entra anche la difficoltà quotidiana che gli atleti hanno nel trovare infrastrutture attrezzate per accoglierli. «All’inizio c’erano piscine in cui si entrava con gradini, e io non potevo entrare e uscire da sola. Tutt’ora devo viaggiare molto, tra Reggio e Modena», ha denunciato Ghiretti, paralizzata alle gambe dopo un incidente sul trampolino elastico a sedici anni. «La situazione si è evoluta con la nostra notorietà», ha però ammesso Barlaam, nato con deformità dell’anca e ipoplasia congenita del femore destro. «Dieci anni fa, quando ho iniziato, mi allenavo con Giulia a Milano dalle 21.30 alle 23.30 in una piscina da 25 metri dietro all’università. Ora invece sfruttiamo tutte le piscine del territorio, possiamo organizzarci al meglio i nostri allenamenti in modo da avere una preparazione ottimale. E i risultati si vedono».

Quando l’ostacolo è «dietro l’angolo»

Tutti e tre, in modi diversi, hanno dovuto superare un ostacolo che sembrava insormontabile. Per Giorgia Villa è stato l’infortunio a tre giorni dalla partenza: «All’inizio non pensavo fosse vero, che fosse un’ingiustizia. Ma nello sport gli ostacoli sono dietro l’angolo: bisogna superarli soprattutto quando sono difficili. Sono stata ferma un mese, ma dopo due settimane con le stampelle già volevo tornare ad allenarmi, non riuscivo a stare ferma. E poi a Parigi è stato ripagato tutto». Anche la nuotatrice Giulia Ghiretti è dovuta ripartire da zero: «Ho fatto mesi di riabilitazione per riconquistare la mia autonomia. Hanno dovuto re-insegnarmi a vestirmi, a scendere dal letto. Lo sport mi ha insegnato a guardare avanti, a mettere nel cassetto quello che avevo imparato per poter aggiungere poi un altro pezzetto. La prima volta che sono entrata in acqua ho avuto consapevolezza del mio corpo: le gambe pesavano, e sono andate giù». Ma non per questo ha desistito: «Gareggiare ha sempre fatto parte di me. Mi mancavano l’adrenalina e la fatica. Volevo risentire quelle sensazioni, in acqua mi sentivo libera. E allora mi sono tuffata».

Un ruolo fondamentale in questo processo lo ricoprono gli altri: «Alleggeriscono quel peso che ti affligge», ha detto Simone Barlaam. «Ma bisogna anche cercare di conoscersi, aprirsi con gli altri senza aver paura delle proprie fragilità». Anche se, al momento della gara, chi fa sport individuale è completamente solo. «Il momento della pre-chiamata è il peggiore – ha continuato Barlaam – Ognuno è nella sua bolla. Sei tu con i tuoi pensieri. E se non sei in controllo, è facile farsi trascinare da pensieri negativi». Ma sul campo gara «più va bene, più ti galvanizzi. Sei come un leone che si avvicina alla preda». Il pubblico sparisce, il rumore sparisce. «Penso di essere solo io con l’attrezzo», ha raccontato Giorgia Villa. «Penso che devo dimostrare – a me e agli altri – tutto quello per cui ho lavorato nei mesi».

Per arrivare lì, a quei livelli, servono anche tante rinunce. «Mi pesa la non possibilità di viaggiare tanto», ha confessato il nuotatore milanese. «Vediamo aeroporti, palestre, piscine. Non molto altro. Cerchiamo di sfruttare i momenti di calma, ma è difficile». «È fondamentale staccare la testa dalla ginnastica, pensare a quello che c’è fuori – ha aggiunto la giovanissima ginnasta – Rilassarsi, riposarsi è fondamentale». Ma la libertà persa, con una scelta, è anche libertà ritrovata nello sport. «Non voglio pensare a come organizzare allenamenti e settimane. Ma non sono sacrifici, sono scelte. E lo rifarei sempre, perché provo emozioni che ti danno così tanto che non ne posso fare a meno».

Leggi anche: