Festival di Open, «Harris? Una perfezionista», «Trump? Crede di avere una missione»: i candidati Usa visti da vicino – Il video
C’è anche un pizzico di Stati Uniti sul palco del Festival di Open, in corso a Parma dal 20 al 22 settembre. A meno di due mesi dalle elezioni presidenziali americane, si prospetta una sfida all’ultimo voto tra Kamala Harris e Donald Trump, appaiati (o quasi) in tutti gli ultimi sondaggi. A raccontare i due candidati presidenti dal palco di Parma sono due persone che hanno avuto il privilegio di conoscerli da vicino. La prima persona intervistata sul palco dalla vicedirettrice di Open Serena Danna è Guido George Lombardi, imprenditore italo-americano, ex collaboratore di Trump e vicino di casa dell’ex presidente degli Stati Uniti. La seconda persona è Brian Brokaw, oggi consulente politico del governatore della California Gavin Newsom e già capo della campagna elettorale di Kamala Harris prima per l’elezione a procuratrice generale dello Stato e poi nella corsa al Senato.
Donald Trump, raccontato dal vicino di casa
Gli incontri in ascensore
«Il mio rapporto con Donald è iniziato negli anni Ottanta. Ho cominciato a incontrarlo in ascensore perché il mio appartamento è al 63esimo piano della Trump Tower, mentre lui abita al 66esimo e al 67esimo», ha raccontato Lombardi a proposito dei suoi primi incontri con il tycoon. Una relazione da vicini di casa, insomma, ma anche commerciale. «Mi piaceva la palazzina e sapevo che sarebbe andata su di valore, quindi ho iniziato a comprare altri appartamenti. È così che io e Trump siamo diventati amici», ha aggiunto Lombardi. Nessun caffè insieme, però. Anche perché il tycoon «beve solo diet coke».
Il più grande pregio e il più grande difetto
Nel descrivere Donald Trump, l’imprenditore italo-americano parla di «un imprenditore con un grande fiuto per ciò che la gente vuole, sia i miliardari che gli operai. È capace di empatizzare con chiunque». Quando gli viene chiesto quali sono il più grande pregio e il più grande difetto di Trump, la risposta di Lombardi è una sola: «Il fatto di agire sentendo che ha una missione da portare a termine, non per se stesso ma per il suo Paese».
L’attentato alle Torri Gemelle e le frizioni con i Repubblicani
Ma quando ha deciso Trump di passare dall’imprenditoria alla politica? Secondo Lombardi, il primo pensiero risale al 2001, appena dopo l’attentato alle Torri Gemelle: «In quel periodo era considerato vicino all’idea kennedyana dei democratici americani. E dopo la stupida guerra in Medio Oriente non gli andavano giù né Bush padre né Bush figlio». Quando Trump si è candidato alle primarie dei repubblicani nel 2016, molti sono rimasti spiazzati. «Il partito repubblicano allora non era come quello di oggi. Un giorno sono andato nell’ufficio di Donald e lui mi ha detto: “Questi qua mi odiano e non mi faranno mai vincere”», racconta Lombardi.
La candidatura e la “spinta” di Obama
A dare una spinta alla popolarità di Trump ha contribuito anche un suo storico avversario: Barack Obama. «Lo ha criticato in tutti i modi. Perché anche lui ha intuito che Trump avrebbe potuto creare problemi in futuro se si fosse candidato con i democratici». Nel 2015, quando Trump si candida alle primarie repubblicane, Lombardi chiama il tycoon per chiedergli se ha davvero intenzione di arrivare fino in fondo o se invece intende solo farsi pubblicità: «L’ho incontrato nel suo studio e mi ha detto: “Anche se devo spendere 100 milioni di dollari, devo dire quello che penso a tutti questi qui”».
Il punto di rottura: i fatti del 6 gennaio 2021
È in quel momento che Lombardi diventa un consulente esterno della campagna elettorale di Trump. Un rapporto che coltiva anche dopo l’elezione alla Casa Bianca, ma che si incrina dopo l’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. «Gliel’ho detto chiaramente: non accettare l’esito delle elezioni del 2020 e fare quella grande manifestazione a Washington va contro i valori e i principi americani», racconta ancora Lombardi.
Kamala Harris, raccontata dal suo ex stratega elettorale
Il primo incontro a San Francisco
A svelare i retroscena della vita di Kamala Harris dal palco del Festival di Open a Parma c’era il suo ex stratega elettorale Brian Brokaw. «La prima volta che l’ho incontrata era a San Francisco. Lei era procuratrice distrettuale e stava partecipando a una raccolta fondi per la campagna elettorale di Barack Obama. Non avrei certo potuto immaginare che sarebbe diventata chi è oggi», racconta Brokaw.
Il più grande pregio e il più grande difetto
Quando gli viene chiesto qual è il più grande pregio di Kamala Harris, il suo ex stratega non ha esitazioni nel rispondere: «Ha a cuore le persone. Quando parla con gli elettori vuole sapere tutto di loro, ha una curiosità genuina». E il principale difetto invece? «A volte, quando non si sente sicura del tema di cui sta parlando, parla troppo. Alcuni la prendono in giro per le sue lunghe spiegazioni, ma la verità è che è una perfezionista».
La notte magica del 2010
Nel 2010, Brokaw inizia a lavorare per Kamala Harris e a dirigere la sua campagna elettorale per diventare procuratrice generale della California: «Quando i seggi hanno chiuso, i nostri avversari hanno guardato i primi exit poll e hanno cantato vittoria. Sapevamo che era ancora presto e infatti tre settimane dopo abbiamo scoperto che aveva vinto Kamala. È uno dei momenti di cui sono più orgoglioso della mia carriera».
La gaffe sulle armi
Durante l’intervista sul palco di Parma, Brokaw ha commentato anche la controversa uscita di Kamala Harris durante una conversazione con Oprah Winfrey, in cui ha detto di possedere un’arma e di essere pronta a sparare qualora un ladro si intrufolasse nella sua casa. «Con quella frase voleva far capire che è una donna tosta», ha provato a giustificarla Brokaw. E poi ha aggiunto: «A Trump e ai repubblicani piace dire che i Democratici porteranno via le armi agli americani. Ma ciò su cui lei ha sempre insistito è la masso al bando dei fucili d’assalto».
Il vento di speranza dopo la rinuncia di Biden
Brokaw è tornato anche sul momento in cui Joe Biden ha rinunciato alla candidatura alle presidenziali con i Democratici, passando il testimone a Kamala Harris: «In quel momento il tono della campagna è cambiato. I Democratici non parlavano più di minaccia alla democrazia, ma veicolavano un messaggio di speranza per il futuro e ottimismo. Trump invece è incapace di portare insieme le persone e unirle».
In copertina: Serena Danna, vicedirettrice di Open, e Brian Brokaw (OPEN/Andrea Veroni)
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