Festival di Open, Dario Fabbri: «Il cessate il fuoco arriverà. Le azioni preventive di Israele servono a evitare l’escalation» – Il video
Dal conflitto in Russia a Gaza fino alle presidenziali americane. Il Festival di Open a Parma ha ospitato Dario Fabbri, direttore della rivista Domino, per una lucida analisi della situazione nei Paesi cruciali in questo momento storico, a partire dagli Stati Uniti in vista delle elezioni presidenziali di novembre. Tra i temi trattati, l’evoluzione sociale del Paese, la depressione americana, e le conseguenze che potremmo aspettarci in Europa, indipendentemente dal vincitore tra Donald Trump e Kamala Harris. Secondo Fabbri, intervistato da Simone Disegni, la crisi politica americana non può essere separata dal contesto sociale in cui si svolge. «Gli americani sono depressi», ha dichiarato l’esperto per avviare una riflessione sulla profondità della crisi interna che attraversa gli Stati Uniti. «Hanno quattro volte il nostro tasso di suicidi», ha spiegato mettendo in evidenza l’angoscia esistenziale della società americana. Questa depressione, per il direttore di Domino, non è nient’altro che il risultato di una promessa storica fallita: «Ciò che li rende depressi è ciò che hanno raccontato a noi: la storia è finita. E i primi a crederci sono stati loro».
Harris e Trump: due narrazioni della stessa crisi
In vista delle prossime elezioni, che vedranno scontrarsi Harris e Trump, Fabbri ha disegnato un quadro dei due candidati. Harris, a suo avviso, rappresenta gli Usa che cercano di affrontare questa crisi volendo ascoltare una narrazione più «simpatetica». Dall’altra parte dello schieramento, ci sono i sostenitori di Trump: «Chi lo vota sono gli arrabbiati», ha sintetizzato. La base elettorale di Trump riflette un’America profondamente delusa dal sistema, che si oppone alla narrazione progressista incarnata da Harris e che cerca risposte attraverso un ritorno a una politica risolutiva, di forza e aggressività.
Elezioni Usa: le conseguenze sull’Europa
Fabbri ha affrontato le possibili conseguenze delle elezioni americane per l’Europa. Se a livello di narrazione, una vittoria di Harris potrebbe sembrare preferibile, il direttore di Domino ha avvertito che la realtà dei fatti è ben diversa. «Nei fatti cosa cambierebbe? L’America resta la stessa depressa», ha concluso. Harris potrebbe essere percepita come una leader più aperta e collaborativa con l’Europa rispetto a Trump, che Fabbri descrive – quest’ultimo – come «sgradevole in ogni suo pronunciamento». Tuttavia, il declino e la crisi interna degli Stati Uniti non verranno risolti da un semplice cambio di leadership, e gli effetti su scala globale resteranno comunque complessi. È un’analisi che dipinge un quadro di disillusione profonda per gli Stati Uniti quella di Fabbri, dove la crisi interna sembra destinata a perdurare, con inevitabili ripercussioni sul sistema internazionale.
Russia e Ucraina
Nel contesto della guerra tra Russia e Ucraina, con particolare riferimento all’oblast di Kursk, Fabbri ha messo in evidenza come gli Stati Uniti mantengano un atteggiamento ambivalente riguardo all’impiego di armamenti contro la Russia. Indipendentemente da chi vincerà le prossime elezioni, che sia Trump o Harris, gli Usa non hanno intenzione – sempre secondo Fabbri – di portare troppo avanti questo conflitto. «La narrazione cambia», ha ribadito: Trump, ad esempio, proclamerebbe «io sono capace di tutto», immaginando un possibile negoziato con Mosca, mentre Harris, con una visione più umanitaria, dichiarerebbe che «questa guerra è un’ecatombe, io devo redimere l’umanità».
Israele, verso un’escalation al Nord?
Spostando il discorso sulla guerra in corso tra Israele e Hamas, Fabbri si dice certo che «prima o poi il cessate il fuoco arriverà» e ha suggerito che le elezioni americane potrebbero favorirne l’approvazione, almeno in una fase iniziale. Alla domanda se Israele potrebbe spingersi ad aprire un secondo fronte a nord, Fabbri ha risposto senza esitare: «No». Per poi mettere in evidenza che è proprio per questo motivo che Israele sta attuando una serie di azioni preventive, nel tentativo di evitare un’escalation che coinvolga ulteriori attori regionali.
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