Il dolore del padre di Giacomo Gobbato, accoltellato a morte per difendere una donna da una rapina. «Aiutava chiunque, a quella festa l’ho invitato io»
«Ha fatto una c…a, ma proprio una grande c…a, con la “C” maiuscola. Questo penso del gesto di mio figlio. Ma lo ha fatto perché lui era così, non poteva essere diversamente. Giacomo si buttava nelle cose, d’istinto, senza pensarci. Se c’era da aiutare si lanciava, senza ragionare sui pericoli. Amava e si faceva amare. Gli volevano bene tutti e penso che la folla di amici, o meglio di fratelli, che è qui oggi per ricordarlo lo stia dimostrando. Di mio figlio scrivete solo cose belle e non importa se esagerate, perché
tutto ciò che di buono scriverete di Giacomo, corrisponde alla realtà». Queste le parole, al Corriere della Sera, di Luca Gobbato, il papà del 26enne ucciso in Corso del Popolo a Mestre, mentre difendeva una donna da una rapina. Venerdì sera, a Mestre, Giacomo Gobbato, 26 anni, era uscito da una festa con un amico. Vedono il tentativo di rapina verso una donna, si avvicinano, lo scippatore scappa ma prima di farlo li accoltella. Giacomo muore poco dopo il ricovero in ospedale, mentre l’amico, colpito anche lui, è ancora ricoverato ma non sarebbe in pericolo di vita. Ieri il centro sociale Rivolta, di cui Giacomo era attivista ha organizzato una manifestazione in suo ricordo. Per l’omicidio è stato fermato un 30enne moldavo, accusato di un altro scippo avvenuto a pochi metri.
«Era un esempio, un figlio straordinario, generoso»
Il padre, tra le lacrime, ricorda che è stato lui a invitare il figlio proprio a quella festa: «Ero stato invitato al compleanno di un amico insegnante che festeggiava i 45 anni in un bar a Mestre. Così sono partito da Jesolo e ho chiamato lui e il suo amico Sebastiano. Ho detto venite a bere una birra anche voi e ci siamo trovati lì». E poi quegli attimi drammatici: «Finito il compleanno io sono ripartito. Giacomo e Sebastiano sono rimasti ancora, poi si sono incamminati. So solo che quando ormai ero alle porte di Jesolo paese, quasi a casa, l’amico mi ha richiamato e mi ha detto: “Torna subito indietro, hanno accoltellato Giacomo”. Con il cuore in gola ho invertito la marcia. Arrivato lì di nuovo non ho potuto vedere mio figlio. Era già dentro a un’ambulanza. La dottoressa mi ha detto: “Stiamo facendo il possibile. Ma le dico già che le
condizioni sono gravissime”. Ho chiamato la mamma, Valentina. Noi siamo separati. Lei ancora non aveva saputo niente. Abbiamo raggiunto l’ospedale e siamo rimasti in attesa fino alla fine. Fuori dal Pronto soccorso ci saranno state 50 persone. I “compagni del Rivolta”, come li chiamava Giacomo. Uso le sue stesse parole». Non ha incontrato le donne salvate da Giacomo, spiega al Corriere: «No. Non ho proprio idea di chi possano essere. So solo che Giacomo avrebbe aiutato chiunque. Senza pensarci e lanciandosi per andare in soccorso, perché lui era fatto così». «Era un esempio, un figlio straordinario, generoso, si prendeva cura degli altri con spirito di abnegazione e aveva mille passioni, la musica, suonava il basso, la chitarra e amava i tatuaggi. Lavorava per un grosso centro che fa tatuaggi a Vicenza».