Israele apre il fronte nord, è guerra a Hezbollah: «Libanesi, mettetevi al sicuro». Quasi 500 morti nei raid – Foto e video
Ora è ufficiale. Israele ha lanciato una vera e propria campagna militare contro Hezbollah in Libano. Il segnale arriva da una nota succinta dell’esercito in serata: «Il capo di stato maggiore ha annunciato il nome dell’operazione al confine nord: “Frecce del Nord”. L’aeronautica militare israeliana ha lanciato intensi raid sul sud de del Libano dalle prime ore della mattina di lunedì 23 settembre, e sostiene di aver colpito nel complesso più di 1.300 obiettivi di Hezbollah, lanciando oltre 1.400 munizioni contro edifici e altri siti in cui il Partito di Dio aveva immagazzinato razzi, missili, lanciatori e droni che «rappresentavano una minaccia e che erano destinati a essere usati contro Israele». Una campagna intensissima di raid, che secondo fonti libanesi aggiornate in serata avrebbe causata la morte già di quasi 500 persone: 492 per l’esattezza, di cui 35 bambini. Non è chiaro quante delle vittime siano miliziani di Hezbollah. Israele sostiene di averne già eliminati «un gran numero». Si tratta dell’offensiva più letale dall’inizio degli scontri tra le forze militari di Tel Aviv e l’organizzazione sciita, all’indomani del 7 ottobre 2023. «Tra le vittime ci sarebbero anche donne, bambini e soccorritori», ha dichiarato Beirut, e centinaia di famiglie stanno lasciando il sud del Paese per paura di nuovi bombardamenti. Il traffico aereo su tutto il Paese sarebbe più che dimezzato, con oltre 14 compagnie che hanno sospeso i voli per la capitale.
Il dossier all’Onu?
Mentre si fa sempre più concreta la possibilità di una apertura ufficiale del fronte di guerra verso nord, il primo ministro iracheno ha chiesto una «riunione urgente» dei Paesi arabi a margine dell’Assemblea generale dell’Onu per «fermare» Israele in Libano, l’Egitto invece ha sollecitato l’intervento del Consiglio di sicurezza.
Il destino di Ali Karaki
Tra i feriti degli attacchi ci sarebbe anche il numero 3 di Hezbollah Ali Karaki, comandante del fronte sud e neopromosso dopo la morte di Ibrahim Aqil sabato scorso. Il successore di Ibrahim Aqil è stato colpito da un raid nel quartiere di Daieh a Beirut, come riferisce il quotidiano israeliano Haaretz. All’inizio era stata diffusa la notizia della sua morte, ma i media israeliani l’hanno smentita: «È stato ferito, non ucciso». Poi Hezbollah ha fatto sapere che Karaki «sta bene ed è in un luogo sicuro». Ali Karaki è entrato cinque anni fa nel Consiglio della Jihad e si è sempre occupato dell’attività dei guerriglieri. Secondo quanto riporta il Corriere, non rientrava tra le prime scelte del leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, ma il Partito di Dio negli ultimi giorni ha dovuto far fronte all’eliminazione di molti dei suoi vertici e per questo ha provveduto alla nomina di Karaki. Il comandante del fronte sud è nato nel 1967 ad Ain Bouswar, villaggio nel distretto meridionale di Nabatieh, e ha nazionalità libanese e guineana. Per diverso tempo ha guidato le unità che operavano vicino al confine sud con Israele. Per il sito Longwar Journal il militante sarebbe stato legato tra il 1985 e il 1986 a una cellula terroristica coinvolta in numerosi attentati in Francia. Dal 2019 è entrato nella lista nera del Dipartimento di Stato Usa. A febbraio i media israeliani avevano parlato di lui come una possibile vittima di un attacco con droni contro un veicolo. La notizia era stata poi smentita dai miliziani sciiti.
Raid precisi e chiamate automatiche
Il primo annuncio dell’intensificazione dei raid israeliani arriva intorno alle 5.30 di mattina ore locali, 6.30 in Italia. Si parla di bombardamenti «più estesi e precisi» contro il Paese dei cedri. In particolare, nel mirino dell’aviazione israeliana ci sarebbero obiettivi militari di Hezbollah, in particolare concentrati nel sud del Paese e nella Valle della Beqa, non lontano dal confine con la Siria. Le fonti ufficiali dell’esercito sostengono di aver colpito più di 300 postazioni grazie ai caccia di numerose squadriglie dell’aeronautica. I raid sarebbero stati lanciati dopo che l’Idf ha individuato preparativi di Hezbollah per condurre massicci attacchi missilistici contro Israele. «È un genocidio, in ogni senso della parola», è il commento del primo ministro ad interim libanese Najib Mikati. In arrivo, secondo l’Idf, altri raid nell’area est della Valle di Beqa.
Poco prima e durante gli attacchi, Israele avrebbe tentato di avvisare gli abitanti delle zone bersagliate dell’imminenza dei raid. Secondo quanto ha rivelato il presidente della compagnia telefonica Ogero Imad a Sky News, ci sarebbero stati oltre 80mila tentativi di chiamata ai telefoni fissi delle case. Le chiamate avrebbero riprodotto un messaggio pre-registrato che intimava alle persone di evacuare le proprie case, scrive Agenzia ufficiale libanese. «Stanno inviando moltissime registrazioni vocali automatiche tramite operatori internazionali, ha spiegato il presidente di Ogero Imad. «La maggior parte di esse sono generate come chiamate provenienti da un Paese amico. È guerra psicologica per creare scompiglio e caos». Beirut starebbe tentando di fermare alla fonte le chiamate.
Il «diritto di proteggere il popolo» e la possibile invasione
Gli attacchi contro il Libano sono sempre più intensi. Secondo il presidente israeliano Isaac Herzog sono la concretizzazione del «diritto e il dovere di proteggere il suo popolo, dagli attacchi del gruppo Hezbollah». A riportarlo è il giornale The Times of Israel. «Migliaia di razzi a lungo raggio sono conservati in case, salotti, camere da letto e cucine, con l’unico scopo di uccidere il nostro popolo». Frase confermata dal portavoce dell’Idf Daniel Hagar: «Stiamo registrando numerose esplosioni secondarie di armi di Hezbollah, che saltano in aria all’interno delle case. In ogni casa che stiamo attaccando ci sono razzi, missili e droni che avevano come obiettivo l’uccisione di civili israeliani». A chiosare sulla questione è il primo ministro Benjamin Netanyahu: «Non aspettiamo la minaccia, la preveniamo e continueremo a farlo. Ho promesso che avremmo cambiato l’equilibrio della sicurezza nel nord, ed è esattamente ciò che stiamo facendo».
September 23, 2024
Ma l’Idf potrebbe non limitarsi a colpire i suoi obiettivi dall’aria. Secondo il quotidiano inglese The Guardian, l’esercito israeliano avrebbe evidenziato la necessità di un’incursione di terra in Libano. A riguardo, il portavoce militare Daniel Hagari si è limitato a rispondere: «Faremo tutto ciò di cui abbiamo bisogno» per riportare le migliaia di residenti evacuati dal nord di Israele. Intanto Beirut ha deciso di chiudere per due giorni – oggi e domani – le scuole di tutto il Paese. In molte regioni saranno proprio gli edifici scolastici a essere trasformati in rifugi per le centinaia di famiglie che stanno fuggendo dal sud del Libano. Non è mancata la reazione di Hezbollah, che avrebbe bersagliato la regione della Galilea, nel nord di Israele. Alcuni razzi hanno colpito la comunità di Givat Avni e il kibbutz Lavi, ferendo lievemente una persona. Sarebbero state raggiunte dal fuoco del Partito di Dio anche due basi militari israeliane, si apprende da una due dichiarazioni distinte del gruppo sciita libanese.
I dubbi sulla morte di Sinwar
L’intelligence militare israeliana starebbe inoltre indagando sulla possibilità, seppur altamente improbabile, che il leader di Hamas Yahya Sinwar sia morto. Lo riferisce la testata Walla, riportando allo stesso tempo che lo Shin Bet ha respinto il rapporto e ritiene che Sinwar sia vivo. Secondo le informazioni di intelligence oggetto dell’indagine, Sinwar sarebbe stato ucciso durante le operazioni di Idf a Gaza. «Sono tutte speranze e supposizioni basate sul fatto che Sinwar nelle ultime settimane è stato irraggiungibile», ha detto un funzionario israeliano al giornalista Barak Ravid. L’Idf, riporta il Jerusalem Post, ha dichiarato di non poter né confermare né smentire le notizie sulla possibile morte del capo di Hamas. Tra le fonti consultate dal Jerusalem Post, una di alto livello ha gettato acqua sul fuoco. Mentre un’altra ha detto di non avere informazioni reali al riguardo e altre ancora hanno rilevato disaccordi all’interno dell’establishment della difesa.
Intanto Hezbollah afferma di aver colpito con un razzo un carro armato israeliano Merkava al confine con il Libano. I militari all’interno del mezzo «sono stati uccisi o feriti. I nostri combattenti hanno usato un missile anticarro guidato e il veicolo corazzato ha subito un colpo diretto”, scrivono su Telegram i miliziani sciiti appoggiati dall’Iran». L’emittente libanese Al Mayadeen riporta che il carro armato ha preso fuoco, due militari israeliani sono morti e uno è rimasto ferito. Da parte loro i media dello Stato ebraico danno notizia di un soldato leggermente ferito in un attacco missilistico anticarro di Hezbollah.
Gli attacchi dei giorni scorsi
Anche nella giornata di ieri Israele e Hezbollah, dal sud del Libano, si sono scambiati pesanti attacchi per ore. Centinaia di missili da entrambi i lati, dalla parte dei residenti del meridione del Paese dei cedri e da quella dei cittadini dell’area di Haifa e del nord di Israele. Nel pomeriggio il premier Benjamin Netanyahu ha fornito la prima informazione ufficiale sugli ostaggi ancora a Gaza dichiarando che da notizie di intelligence risulta che «la metà è ancora in vita».
Finora l’esercito ha dichiarato la morte di 35 dei 101 ostaggi prigionieri nella Striscia, quindi i rapiti vivi sarebbero forse 33. Nella notte le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno bombardato un complesso scolastico del campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza. L’agenzia di stampa palestinese Wafa afferma che nel raid almeno tre persone sono morte e diverse altre sono rimaste ferite, e che la scuola Khaled bin Al-Walid era stata riconvertita in un centro per sfollati.
L’analista e la guerra di Israele
Giuseppe Dentice, responsabile del desk Mena (Medio Oriente e Nordafrica) del Centro studi internazionali, dice oggi al Quotidiano Nazionale che c’è «il rischio concreto che si vada incontro ad una nuova escalation della guerra in atto. Ma in realtà non esistono risposte semplici ad una equazione complessa. A prendere alla lettera le dichiarazioni, si va verso una escalation. Ma una cosa sono le parole e l’altra gli interessi concreti degli attori in gioco». Anzi: «Israele non ha una vera convenienza ad una operazione di terra che sarebbe molto costosa in tutti i sensi, ma potrebbe voler mettere alle strette Hezbollah, minacciando un intervento che Tel Aviv in realtà non vuole, per costringerlo a interrompere la conflittualità. È una partita di poker».
Le elezioni americane
L’ipotesi più probabile, quindi, è che Israele temporeggi almeno fino alle elezioni americane: «Israele teme di spingersi troppo avanti con Hezbollah e poi trovarsi scoperta in caso di vittoria di Harris. Ma va anche detto che Netanyahu non è poi così sicuro che lo sbandierato appoggio totale promesso da Trump si concretizzerebbe poi in un sostegno pieno a una operazione israeliana in terra libanese che rischierebbe di innescare una guerra più ampia che richiederebbe un intervento americano». E la stessa cosa vale per la tregua a Gaza: «Entrambe le parti non vogliono un accordo ora».
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