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Femminicidio Cecchettin, al via il processo. La famiglia: «Risarcimento da 1 milione di euro». Turetta assente dall’aula

23 Settembre 2024 - 14:23 Alba Romano
processo turetta femminicidio giulia cecchettin risarcimento
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Il padre Gino Cecchettin: «Non so se ci sarò alle prossime udienze. Con i genitori di Turetta non c'è rancore»

Un milione di euro. Questa è la cifra che l’avvocato di Elena Cecchettin ha stimato come risarcimento da chiedere a Filippo Turetta, il 22enne reo confesso di aver ucciso l’ex fidanzata Giulia Cecchettin lo scorso 11 novembre a Fossò, in provincia di Venezia. «La stima si basa sulle tabelle della Giustizia», ha precisato il legale. Oggi, 23 settembre, a quasi un anno di distanza dal femminicidio, nella corte d’Assise di Venezia è in corso la prima udienza. Nonostante continui a collaborare con gli inquirenti, l’imputato ha deciso di non presentarsi in aula. Assenti anche i suoi genitori, mentre è presente il padre della vittima Gino Cecchettin.

Il padre: «Non so se ci sarò alle prossime udienze»

«Non so se ci sarò alle prossime udienze», ha dichiarato Gino Cecchettin a margine della prima udienza. «Oggi è un giorno di grande dolore come tutti gli altri giorni del resto. Stamattina a casa non ho parlato del processo, ho salutato tutti come ogni giorno e sono venuto qui. Sono sicuro che il giudice, il collegio, sapranno ben giudicare quanto è successo con la pena giusta che sarà stabilita dalla giuria», ha proseguito. «Non mi interessa se sarà un processo veloce o lungo, anche se per me è uno stillicidio, non sto assolutamente bene: ogni giorno penso a Giulia». Quanto a Turetta, ha concluso: «Non temo la sua presenza in aula, se verrà sarà una scelta sua, nulla di più. I suoi genitori non li sento da tempo, non c’è rancore, tutti abbiamo le nostre colpe. Se mi scrivono io rispondo sempre. L’ultima volta che li ho sentiti risale a molto tempo fa, quando sono uscite le indiscrezioni sull’interrogatorio di Filippo in carcere. Ora porto avanti la battaglia che ha iniziato mia figlia Elena con la Fondazione che si basa sui valori di Giulia».

Il processo «rapido»

Il Comune di Vigonovo si è costituito parte civile. Un solo teste per la difesa: l’anatomopatologa Monica Cucci, che ha preso parte all’autopsia della ragazza uccisa con decine di coltellate da Filippo Turetta. Dall’altra parte il pm Andrea Petroni porterà una trentina di testimoni: investigatori, associazioni ma anche parenti (papà, zio, nonna e i due fratelli Elena e Davide) e amici della vittima. La richiesta da parte dell’imputato è che il processo sia il più veloce possibile: «Il mio pensiero va alla mia famiglia, a mio fratello e ai miei genitori, che sono continuamente fermati dai giornalisti», avrebbe rivelato una fonte accreditata all’agenzia LaPresse. La scelta di non presentarsi in aula, ha rivelato il legale dell’imputato Giovanni Caruso, è arrivata proprio dall’avvocato difensore: «Gliel’ho suggerito io. Non è una mancanza di riguardo nei confronti della Corte». E poi la promessa per il futuro: «Mi attiverò affinché Turetta venga in aula per rispondere ai giudici». Il momento in cui accadrà non è ancora dato saperlo: «Quando sarà il momento». La nonna di Giulia Cecchettin avrebbe invece voluto «che Filippo fosse in aula».

Il procuratore Cerchi: «Processo personale, non studio psicologico»

L’accusa è di omicidio volontario con le aggravanti di crudeltà, stalking e premeditazione. Secondo l’edizione odierna del quotidiano La Stampa, Turetta chiederà anche l’acquisizione degli atti, rinunciando al filtro del confronto in aula sulle prove. E non proverà a giocare la carta dell’infermità o della semi-infermità mentale. Tutti atteggiamenti che, uniti all’incensuratezza, verrano sicuramente valutati positivamente dalla corte d’Assise. Il collegio giudicante, oltre al presidente Stefano Mandunzio, è composto da cinque uomini e quattro donne. Il procuratore di Venezia Bruno Cerchi, che ha preso parte alla prima porzione dell’udienza, ha avvertito: «È un processo non al femminicidio, ma solo a Filippo Turetta». Rimarcando l’importanza di accertare solo le «responsabilità personali, nel rispetto dell’imputato», ed evitando di trasformare il processo in uno «studio sociologico».

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