Anche nelle unioni civili va risarcito l’ex che rinuncia alla carriera: la sentenza di Milano

I giudici decidono dopo la rottura tra un avvocato e un commercialista

Anche nelle coppie omosessuali l’assegno di divorzio ha una funzione assistenziale ma anche compensativo-risarcitoria. Perché chi nella coppia ha rinunciato ha migliori opportunità di lavoro in funzione dell’unità della vita familiare ne ha diritto. E per misurarla si può anche considerare la durata del rapporto prima della formalizzazione dell’unione civile. «Ancorché si sia svolta in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge» n.76 del 2016 sulle unioni civili. Altrimenti negarlo «si tradurrebbe inevitabilmente in un’ingiustificata discriminazione a danno delle coppie omosessuali, il cui proposito di contrarre un vincolo formale non ha potuto concretizzarsi se non a seguito dell’introduzione della disciplina delle unioni civili».


La sentenza

Lo ha deciso la sezione famiglia del tribunale civile di Milano sulla scia di una sentenza delle sezioni unite della Cassazione che risale al 2023. I giudici hanno fissato un assegno di divorzio di 800 euro al mese dopo la fine dell’unione civile tra un avvocato da 250.000 euro netti annui di redditi e tre case, assistito dall’avvocato Teresa Devercelli, e un commercialista (assistito dall’avvocato Emanuele Rimini) che per seguirlo in una città estera aveva sacrificato la propria vita lavorativa, misurata da 27.000 euro di redditi annui (e una casa datagli dai genitori). «Egli — argomenta la presidente e relatrice Anna Cattaneo con le giudici Susanna Terni e Fulvia De Luca nell’articolo del Corriere Milano — ha condiviso le scelte di vita del compagno fin dall’inizio della relazione: in sostanza la coppia ha deciso di privilegiare la carriera professionale, le aspirazioni e gli interessi di un membro della coppia».


La decisione

L’altro, pur avendo sempre lavorato ed anche implementato il proprio bagaglio professionale, «per scelte condivise di coppia, ha avuto un ruolo subalterno, ha supportato il compagno lo ha stimolato, gli ha consentito di realizzare il suo progetto professionale, sacrificando la propria crescita economica a favore della crescita dell’altro». Da qui la decisione dei giudici.

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