L’altro processo di Morgan, a giudizio per oltraggio a pubblico ufficiale: «Ma io stimo la polizia»
Non solo stalking. Marco Castoldi in arte Morgan è a processo anche per oltraggio a pubblico ufficiale. E se nel caso di Angelica Schiatti dice sui social network di essere la vittima della situazione e intanto chiede di accedere alla giustizia riparativa, a Monza cita Pasolini. Che simpatizzava «con i poliziotti figli dei poveri» dopo gli scontri a Valle Giulia nel 1968. Mentre lui «stima» gli agenti che lo hanno portato in giudizio per quello che è successo a giugno 2019. Il giorno dello sfratto dalla sua abitazione. All’epoca, secondo l’accusa, li ha apostrofati come «mostri ignoranti» e «ridicoli». Paragonandoli a «boia» e a «becchini». Ma, spiega, lo ha fatto perché «soffrivo per lo sfratto» dall’appartamento al piano terra di via Adamello.
Lo sfratto
Lo sfratto è diventato esecutivo dopo il pignoramento della casa di proprietà del cantautore. Ottenuto dall’ex moglie Asia Argento perché Morgan non pagava gli alimenti per lei e per la figlia Anna Lou. All’epoca, sostiene, si trovava «in uno stato di profonda sofferenza nel lasciare quella che era non solo la mia casa, ma anche il luogo di lavoro, dove avevo lo studio di registrazione e i miei strumenti. Io non accettavo in toto la vicenda, per come si era sviluppata. Quel giorno ero in grande sofferenza psicologica; quelle persone non le avevo identificate come poliziotti perché non si erano qualificate come tali, non erano in divisa, e uno di loro mi riprendeva con una telecamera in mano». La parola «mostro», ha sostenuto in Aula, non era riferita a loro ma al nuovo proprietario dell’appartamento.
Lo stato di sofferenza
Mentre all’ufficiale giudiziario ha detto che era un boia e un becchino. Ma soltanto perché si trovava in uno «stato di sofferenza». E quello che ha detto lo ha detto in modo «sarcastico, burlesco, ironico, teatrale». Perché quello è il suo modo di esprimersi. Dice anche di aver chiesto quel giorno di poter suonare il suo pianoforte «per l’ultima volta», raccontando di aver suonato Beethoven talmente «forte» da farsi «sanguinare le mani».
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