Pensioni, sistema a rischio con età media a 64,2 anni. Un milione di lavoratori in più del 2019, potere d’acquisto in calo – I dati Inps

Oggi, grazie agli scivoli per lasciare il lavoro in anticipo, si esce dal mondo occupazionale a un’età media di 64,2 anni

Disparità di genere e, insieme, “disparità generazionale”. Il rapporto annuale pubblicato dall’Inps è una fotografia delle disuguaglianze che, oltre ad accompagnare i cittadini italiani in età lavorativa, permangono anche con il raggiungimento della pensione. Al 31 dicembre 2023, dei 16,2 milioni di pensionati 7,8 milioni sono uomini e 8,4 milioni sono donne. Queste ultime, sebbene rappresentano il 52% del totale, percepiscono il 44% dell’ammontare complessivo dei redditi pensionistici. Ovvero, per le donne lo Stato spende ogni anno di 154 miliardi di euro, per gli uomini 194 miliardi. Nella quotidianità, a inizio mese, l’importo medio della pensione di un uomo è pari a 2.056,91 euro, mentre quella di una donna si ferma a 1.524,35 euro, circa il 35% in meno. Senza considerare il rischio crescente per le donne, dopo aver avuto un figlio, di lasciare il mondo del lavoro.


La nascita di un figlio

Si legge nel rapporto Inps: «Prima della nascita di un figlio, la probabilità di uscita dal lavoro è simile per uomini e donne con l’8,5%-9% per i primi e il 10,5%-11%% per le seconde. Nell’anno di nascita la percentuale sale al 18% per le donne e scende all’8% per gli uomini. A sette anni dalla nascita del figlio, la probabilità di uscita dal lavoro è del 5% per gli uomini e del 10% per le donne. La nascita pesa anche sui redditi con le donne che perdono il 16% dei redditi se hanno il congedo di maternità e il 76% dei redditi se non possono contare su questo ammortizzatore. La nascita di un figlio non incide negativamente sui reddito degli uomini che anzi, a sette anni dalla nascita di un figlio, contano in media su un incremento del reddito di circa il 50%».


La “disparità generazionale”

L’istituto parla di rischio crescente anche per i contribuenti attuali che, in futuro, dovranno andare in pensione. Si tratta di «squilibri per i sistemi previdenziali, soprattutto per quei Paesi, come l’Italia, dove la spesa previdenziale è relativamente elevata». Ovvero, oggi l’età media di accesso alla pensione – anche grazie alle possibilità di uscita anticipata – è pari a 64,2. Un tetto che i giovani lavoratori di oggi, probabilmente, vedranno alzarsi a prescindere dall’adeguamento con l’aspettativa di vita. Senza considerare, poi, la “generosità” dei trattamenti pensionistici per chi ha versato contributi con il sistema retributivo ancora in vigore. «Le previsioni Eurostat per l’Ue relative agli andamenti demografici – si legge – fanno presagire un peggioramento del rapporto tra pensionati e contribuenti».

Qual è lo stato di salute del mercato del lavoro?

«Nel 2023, i lavoratori iscritti all’Inps con almeno una settimana di contributi sono stati 26,6 milioni, oltre 1,08 milioni in più rispetto al 2019». Un dato sull’occupazione positivo, trainato dall’aumento di dipendenti a tempo indeterminato del mondo privato – mentre sono diminuite le partite Iva – e dalla presenza di 540 mila lavoratori in più nati in Paesi fuori dall’Unione europea. Anche le retribuzioni sono salite del 6,8%. Tuttavia, il potere di acquisto rispetto al 2019 è calato: Al notevole recupero occupazionale, sia in termini di unità che di intensità di lavoro, «non è corrisposto un incremento dei redditi e delle retribuzioni tale da compensare pienamente la perdita di potere d’acquisto conseguente alla recrudescenza del fenomeno inflattivo». Perché se l’aumento lordo dei salari, in media, ha fatto registrare quel +6,8%, l’inflazione ha fatto schizzare i prezzi di beni e servizi a un più 15-17%.

Leggi anche: