Alluvione, il sindaco di Faenza annuncia la «disobbedienza istituzionale»: «D’ora in poi se non ci aiutano facciamo da soli» – L’intervista
«Siamo pronti alla disobbedienza istituzionale pur di proteggere i cittadini». Firmato: Massimo Isola, sindaco di Faenza. Destinatario: Sergio Mattarella, Palazzo del Quirinale. È il passaggio più forte della lettera che il primo cittadino, dopo la terza alluvione che ha colpito la sua città in poco più di un anno, ha spedito al presidente della Repubblica. La giunta cittadina si muoverà da sola, laddove la struttura del commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo e il governo Meloni non sono stati in grado di rispondere tempestivamente alle esigenze della popolazione. E lo farà anche forzando la prassi burocratica che regola i rapporti tra enti locali e Roma. Di qui «la disobbedienza istituzionale» di Massimo Isola. Che, a distanza di un anno e quattro mesi, torna a parlare con Open: «L’unico obiettivo è essere operativi da subito per la sicurezza dei cittadini».
Sindaco, cosa intende quando dice che farà «disobbedienza istituzionale»?
«È una frase forte, un punto esclamativo per provare a farsi ascoltare laddove il linguaggio verbale tradizionale non trovava canali di comunicazione appropriati. È un’immagine forte che mette l’accento su una cosa: Faenza, che è stata alluvionata tre volte, è uno di quei casi emblematici in cui vediamo tradursi il cambiamento climatico. Abbiamo avuto tre eventi alluvionali in poco più di un anno e tutti e tre li avremmo definiti centenari, bicentenari. È la dimostrazione che la statistica del passato non rappresenta ciò che accade. Bene, questi cambiamenti climatici, che hanno effetti devastanti e insoliti, noi li abbiamo. abbiamo affrontati fin adesso con gli strumenti del secolo scorso, cioè come se fossimo ancora nel Novecento. Però la sfida invece è tutto nel XXI secolo: ci siamo trovati impreparati. E le filiere istituzionali storiche, che sono servite per fronteggiare nel tempo questi eventi, adesso si dimostrano inadeguate».
E in cosa si sostanzierà la sua disobbedienza?
«Disobbedienza significa provare ad appropriarsi di funzioni che storicamente non attengono totalmente alle municipalità, perché se non ce ne occupiamo noi… certe cose non accadono. E la comunità sociale, lacerata dalla terza alluvione, cerca nelle istituzioni quelle risposte che non trova. Noi siamo tutti i giorni insieme ai cittadini: inevitabilmente siamo porosi, nel bene e nel male. Siamo la prima linea e quindi abbiamo sentito montare un’insofferenza nuova da parte della comunità verso le istituzioni, che dobbiamo bloccare, fermare. Dobbiamo decidere da che parte stare e abbiamo deciso di stare dalla parte dei cittadini. Quindi, laddove ci fosse necessità, forziamo gli strumenti che abbiamo ereditato dal passato. Cerchiamo strade nuove perché troppe volte ci è stato detto “non riusciamo a risolvere in tempi veloci perché è sempre stato così”. Oppure, “lo schema è questo”. Abbiamo un problema di gestione degli argini in campagna? “Dipendono da un decreto regio del 1904”. Finché cambiamo il disegno di legge passa troppo tempo e quindi non affrontiamo quel tema. Abbiamo bisogno di dare risorse ai cittadini? Dobbiamo fare una ordinanza estremamente burocratica che deve passare al vaglio di decine di commissioni. Sui rimborsi… Sa quante famiglie faentine sulle 4.500 che avevano in qualche modo diritto hanno oggi ottenuto le risorse? Novanta. È evidente che con questi strumenti non riusciamo a gestire lo scenario del nostro tempo».
Teme che gli altri enti, a cui in qualche modo dovrete dare dei riscontri, non accetteranno la vostra iniziativa?
«Da oggi Faenza ha deciso di fare da sola, se gli enti di altri livelli istituzionali non condividono l’esigenza di un cambio di passo radicale. Ma noi siamo convinti che accetteranno questa nuova sfida. Lo dobbiamo ai cittadini di Faenza, e credo anche alla nazione, perché questa è una delle prime esperienze nelle quali risulta evidente che il cambiamento climatico modifica gli scenari. E mostra come gli strumenti nazionali di gestione delle emergenze ambientali sono costruiti su modelli del 1900, su prassi antiche, con ritmi e burocrazie che non hanno nulla a che fare con un’azione moderna che vuole affrontare i cambiamenti climatici con strumenti nuovi, più incisivi, più flessibili, più in grado di dare risposta ai cittadini. Noi oggi ci siamo messi al lavoro sui ristori diretti per i cittadini, 10 mila euro alle nostre famiglie, e per mettere in sicurezza alcune zone della città. Questa scelta di dare risorse direttamente ai cittadini è una pratica che, storicamente, è stata affidata alla Protezione civile o alla struttura commissariale. Quindi non c’è una letteratura, ma abbiamo deciso di farlo all’unanimità in giunta e abbiamo avuto una risposta straordinaria da tutta la città di Faenza. Credo che le altre istituzioni abbiano capito che non stiamo scherzando e che dobbiamo tutti lavorare insieme. Se lo facciamo recupereremo il tempo perso, metteremo in discussione le prassi passate e faremo un servizio non solo ai cittadini faentini, ma diventeremo “un caso di studio”, fondamentale per contaminare – in modo positivo – le altre realtà».
Sindaco, ci faccia un esempio di qualcosa che non ha funzionato con la ricostruzione.
«Stiamo discutendo da circa un anno il piano strategico di 600 pagine per tutta la Romagna. Deve ancora essere approvato e poi devono avviare un iter di valutazione fiume per fiume: a questo ritmo, il piano darà risposta ai nostri figli. Per esempio, abbiamo presentato a febbraio un’idea progettuale importante a difesa di quel quartiere che è stato colpito per la terza volta. Ci è stato promesso che il progetto sarebbe stato finanziato con un decreto, quel famoso 13-bis, ma ad oggi non è ancora operativo. Ecco perché questo appello: i cambiamenti climatici ci chiedono di sburocratizzare la questione dell’emergenza e utilizzare i canali, i linguaggi, i codici, le prassi di somma urgenza che ci permettano di superare questa burocrazia. Questi tempi, quando le cose accadevano a ritmo secolare, avevano un senso. Non oggi, che le calamità accadono a ritmo mensile. Non siamo in sincrono con la realtà».
Cosa recrimina del rapporto con il commissario Figliuolo?
«Noi abbiamo lavorato bene sia con il commissario Figliuolo sia con la struttura commissariale, fatta di professionisti straordinari. Non è una questione di persone o di inadempienze. Non ha funzionato il sistema. Primo, la presenza sul territorio della struttura commissariale: noi abbiamo chiesto che fosse in loco perché nessuno può pensare di ricostruire la Romagna via Pec o con le videochiamate. Noi avevamo bisogno di una struttura presente tutte le mattine insieme a noi, perché la ricostruzione contempla anche la capacità di sentire, di vedere come cambiano le cose nel loro svilupparsi, e provare anche a cambiare strada se si stanno commettendo degli errori. Giorno per giorno. Secondo, c’è un tema di metodo. Quello che la struttura ha utilizzato, è un metodo “storico”. È la prassi che loro non hanno fatto altro che applicare, tramite una serie di emanazione di ordinanze piuttosto burocratizzata, che avevano tempi di applicazione troppo lenti e soprattutto con un carico amministrativo che rendeva spesso impossibile, da parte dei cittadini, utilizzare quelle risorse che comunque erano messe a disposizione».
La struttura commissariale è composta da tecnici. A livello politico, cosa critica?
«La struttura commissariale fa riferimento anche a ciò che accade in Parlamento. Una critica clamorosa, clamorosa. Che facciamo? E la scelta nelle ordinanze 11:03 14 dedicati alle risorse per le imprese e per i privati, di avere messo pochissimi soldi per i nostri cittadini dei Paesi che per tutto il tema dei beni mobili. Nell’ordinanza arrivata da Roma si afferma che la massima somma a cui può accedere una famiglia è di 6.000€ per i beni mobili. Qui non stiamo parlando una città terremotata, ma di una città alluvionata. Quello è stato un errore clamoroso sul quale il Parlamento ha una responsabilità, e anche il governo, perché nonostante la presentazione di emendamenti che provavano di alzare quella quota, la maggioranza non ha mai accettato di modificarla. Questo sicuramente è un grandissimo errore. E ancora, forse la struttura commissariale poteva e doveva farsi sentire anche per fare in modo che, di fronte a un decreto regio del 1904, si facesse una nuova legge».
Dopo questa terza alluvione, com’è possibile restituire fiducia ai cittadini?
«Abbiamo superato le prime due alluvioni con grande spirito di comunità, riuscendo a rigenerare la grandissima parte della città. Quest’ultima è stata uno shock, uno shock molto importante. Da Romagna mia in piazza e tutti abbracciati a cantarla, si è passati a manifestazioni di protesta veemente. È emerso un grido d’allarme molto forte dalla comunità, che non regge più. E non regge, questa terza volta, la credibilità delle istituzioni. Abbiamo recepito il grido di allarme e credo che questa nuova prassi amministrativa sia il modo migliore per poter interpretare quel malessere profondo. Abbiamo ancora il tempo per convertirlo in energia positiva? Sì. Ma se questa volta non riusciremo a lavorare con la velocità, con l’intensità che la comunità ci ha chiesto, rischiamo di perdere il collante tra le istituzioni e la nostra cittadinanza, che fino ad oggi si è comportata in modo meraviglioso. Anche per questo abbiamo fatto una proposta così estrema. Gli altri livelli istituzionali, se vogliono capire il nostro grido d’aiuto, si mettano a lavorare con noi senza ricorrere a forzature drammatiche. Da questa mattina alle otto, siamo in Comune al lavoro per realizzare il progetto di messa in sicurezza del Marzeno».
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