Cosa sappiamo sul virus Nipah e perché non va paragonato con la Covid
In India, sono state adottate misure straordinarie a causa di un focolaio del virus Nipah, che ha riportato scuole e università alla chiusura e il ritorno all’uso di mascherine e altre disposizioni che ricordano l’ultima pandemia. L’allerta è scattata dopo il decesso di due ragazzi, ma è importante non cadere in eccessivi allarmismi. Avevamo già trattato dei falsi miti legati a questo virus, evidenziando come i paragoni con la Covid-19 fossero impropri. Le similitudini tra i due riguardano alcuni sintomi iniziali, come febbre, cefalea, dolori muscolari e disturbi respiratori, ma si tratta di sintomi molto generici che complicano la diagnosi. Tuttavia, solo in rari casi, come nell’ultima emergenza in India, il Nipah può portare all’encefalite acuta, che può evolvere fino al coma e alla morte.
Come si trasmette davvero il virus Nipah
Nonostante non sia un patogeno sconosciuto, continuano a circolare diversi falsi miti sulla malattia causata dal Nipah e sulla sua epidemiologia. La collega Florica Brahma ha elencato le principali bufale sul virus per il sito di fact-checking indiano First Check. Ci preme particolarmente sfatare i paragoni con SARS-CoV-2. Altrimenti, si potrebbe erroneamente pensare che il Nipah si trasmetta facilmente per via aerea. Non è così. Il virus si diffonde principalmente attraverso il contatto stretto con gli infetti o mediante il consumo di alimenti contaminati.
Il virus ha come ospite serbatoio i pipistrelli della frutta, che lo trasmettono ad animali con cui è più probabile il contatto con l’uomo, come i maiali. Tuttavia, sono necessari contatti ravvicinati per la trasmissione del Nipah, che può diffondersi attraverso alimenti contaminati (la frutta da sola non rappresenta la principale fonte di contagio per gli esseri umani) e fluidi corporei, compresa la saliva e gli escrementi di animali infetti. La trasmissione da persona a persona non è stata affatto smentita, ma risulta limitata e avviene generalmente tra contatti stretti. Forse non è un caso se, dopo un primo soggetto infetto, seguono i suoi parenti.
Il contatto stretto tra due persone può dare luogo a contagio, ma si tratta di casi piuttosto rari. Potete approfondire leggendo uno studio pubblicato nel 2019 sulla rivista Veterinary Quarterly. Una delle fonti di trasmissione più note è il consumo della linfa di palma da dattero cruda (utilizzata per preparare il vino di palma o il legmi), precedentemente contaminata dai pipistrelli.
Cosa sappiamo sulla letalità
Di questa malattia zoonotica emergente possiamo stimare la letalità basandoci sui focolai registrati in precedenza anche in Bangladesh, Malesia e Singapore. Le percentuali variano tra il 40% e oltre il 75%. Attualmente non esistono terapie né vaccini efficaci. La prevenzione e la tempestività sono fondamentali, considerando che il contagio inizia spesso con un primo caso, seguito dai contatti familiari, e la trasmissione prosegue negli ospedali.
È comprensibile che i tassi di mortalità riportati suscitino preoccupazione. Tuttavia, la loro variabilità fornisce un’informazione importante: essere contagiati dal virus Nipah non è una condanna a morte senza appello. Anche se non esiste un farmaco specifico, un intervento medico tempestivo può fare la differenza.
Il contesto dell’emergenza in Kerala
L’allarme ha attirato nuovamente l’attenzione dei media a causa di un caso del 9 settembre, relativo al decesso di uno studente di 24 anni residente nello stato del Kerala (distretto di Malappuram). Il ragazzo ha iniziato a manifestare i primi sintomi febbrili il 4 settembre ed è deceduto cinque giorni dopo. Sono state individuate 151 persone che sono entrate in contatto con la vittima e messe sotto osservazione per prevenire un’ulteriore diffusione del virus. Si tratta della seconda vittima del virus Nipah dal luglio scorso, quando le autorità indiane hanno lanciato l’allerta a seguito della morte di un quattordicenne, sempre nello stato del Kerala.
Si è quindi risaliti a circa 60 persone ritenute ad alto rischio. Le autorità sanitarie indiane hanno precisato che il ragazzo proveniva dalla città di Pandikkad e tutte le persone entrate in contatto con lui sono state messe in isolamento e sottoposte a test. Anche ai residenti nell’area sono state raccomandate – come nel caso più recente – le precauzioni che già conosciamo. I criteri che fanno scattare questo genere di allarmi si comprendono meglio se consideriamo che l’anno scorso le autorità statali chiusero scuole e uffici a seguito di cinque casi.
Secondo quanto riportato dall’OMS, i primi due focolai si verificarono nel 2001 e nel 2007, entrambi nello stato del Bengala Occidentale. Nel 2018 un’epidemia nel distretto di Kozhikode e Malappuram nello stato meridionale del Kerala ha causato 17 morti. Da allora le autorità hanno continuato a registrare decine di decessi nello stato del Kerala, che sembra essere una delle aree più a rischio al mondo. Secondo un report del 2023 di Deborah J. Nelson, Ryan McNeill, Sreekanth Sivadasan, Allison Martell, Ruma Paul, Andrew R.C. Marshall e Adolfo Arranz per Reuters, il Kerala è particolarmente soggetto a questo fenomeno a causa della sua natura tropicale, combinata con una rapida urbanizzazione e massicci disboscamenti. In sostanza è uno stato che presenta «condizioni ideali per l’emergere di un virus come il Nipah».