Giappone, l’ex pugile Iwao Hakamada è stato assolto dopo 56 anni passati da condannato a morte

Oggi l’uomo ha 88 anni. Nel 1968, fu rinchiuso nel braccio della morte per l’omicidio del suo capo e di tre membri della sua famiglia

Il detenuto più longevo di sempre che è stato rinchiuso in un braccio della morte è stato assolto. Iwao Hakamada ha passato 56 anni della sua vita da condannato. Poi, il 26 settembre, è arrivata la sentenza di assoluzione, decisa dalla Corte di Shizuoka al termine del processo di riesame. L’ex pugile, oggi 88enne era stato condannato per l’omicidio del suo capo e di tre membri della sua famiglia. L’assassinio è avvenuto nel 1966, due anni più tardi le autorità hanno individuato in Hakamada il colpevole. In realtà, l’uomo si trovava fuori dal carcere già dal 2014, in attesa della sentenza definitiva che è stata emessa oggi.


L’incendio e l’arresto

La vicenda era iniziata quando, il 30 giugno 1966, un incendio scoppiò nella casa di uno dei capi di Hakamada. All’interno dell’abitazione, la polizia ritrovò i corpi dell’uomo, della moglie e dei due figli, pugnalati a morte. Inoltre, alla famiglia furono sottratti 20 mila yen in contanti. I sospetti ricaddero su Hakamada, che effettivamente confessò l’omicidio in un primo momento, salvo poi spiegare che fu costretto a firmare il verbale di confessione con la tortura.


La pena di morte

La pena capitale non è mai stata applicata in questi 56 anni perché il verdetto è sempre stato molto discusso in Giappone. Gli stessi legali di Hakamada presentano molti ricorsi, tant’è che l’ex pugile sarà condannato a morte da cinque corti diverse. L’ultima, quella che sembrava definitiva, era arrivata dalla Corte suprema nel 1980. Tuttavia, oltre all’interrogatorio della confessione – che sarebbe avvenuto esercitando violenza sul detenuto -, anche le prove raccolte a sostegno dell’accusa si sono dimostrate non solide. Per esempio, secondo i pm, le coltellate sarebbero state inferte con un coltello da frutta. In realtà, quella lama – è sempre stata la tesi della difesa – non avrebbe potuto reggere intatta al numero di coltellate con cui la famiglia è stata uccisa.

Il processo

Per l’ambiguità di alcune accuse tutti i ministri della Giustizia giapponesi, nel corso di mezzo secolo, non hanno mai firmato il decreto di condanna a morte. E a sostegno dell’ex puglie divenuto dipendente di un’azienda di riso, nel Paese nipponico si è creato un movimento a sostegno della sua assoluzione. Oggi stesso erano centinaia le persone in fila fuori dal tribunale di Shizuoka – a Ovest di Tokyo – per assistere al processo. Una di loro, riporta l’Agi, indossava una maglietta con su scritto Free Hakamada Now: «Sono assolutamente certo che verrà assolto. Ma una parte di me non riuscirebbe a festeggiare pienamente l’assoluzione. Il suo caso è un doloroso promemoria di come deve cambiare il sistema di giustizia penale giapponese».

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