Roberto Gleboni e la strage familiare di Nuoro: «Era possessivo, controllava moglie e figli»

Marito e moglie stavano per separarsi, secondo i vicini. «Spesso urlava. A volte sembrava prepotente e quasi esaltato». Ha sparato per uccidere. La psicologa: «La depressione può portare a questo»

Operaio forestale e sindacalista Cisl. Ma anche appassionato di armi sportive. Senza però nessuna segnalazione di violenze in ambito familiare. La vita di Roberto Gleboni, 52 anni, è sempre stata normale. Fino a ieri. Quando a Nuoro con la sua pistola calibro 7.65, ereditata e regolarmente detenuta per uso sportivo, ha ucciso la moglie Maria Giuseppina Massetti, 43 anni e la figlia Martina 25, il figlio Francesco di 10 anni, il vicino di casa Paolo Sanna (69). E ha ferito l’altro figlio di 14 anni e la madre Maria Esterina Riccardi, 84 anni. Poi si è tolto la vita sparandosi alla tempia in cucina. Gleboni era incensurato. Sulla strage indagano i sostituti procuratori Riccardo Belfiori e Sandra Piccicuto. Il medico legale è Roberto Demontis.


La dinamica della strage

La strage è cominciata alle 7 del mattino al numero 17 di via Ichnusa nel quartiere di Monte Gurtei. Il dipendente della Forestas prende la pistola e comincia a sparare. Uccide la moglie e la figlia. Poi scendendo le scale incontra il vicino Sanna, proprietario di casa, e spara anche a lui. E infine ai due figli maschi. Poi prende la sua auto e va in via Gonario Pinna. Al terzo piano abita la madre. Lui le punta l’arma conto e apre il fuoco. Poi si dirige in cucina e si spara. Soltanto quando l’eccidio è compiuto nel capoluogo barbaricino intorno alle 7.30 arrivano le sirene delle ambulanze e due elicotteri della polizia di Stato volano sulla città. Nelle due palazzine della strage arrivano gli agenti della questura e i carabinieri del comando provinciale di Nuoro. Ora si attendono i risultati dell’autopsia.


Il movente

A quanto pare marito e moglie, che vivevano insieme, stavano per separarsi. La prima figlia della coppia era nata quando Giusi Massetti era ancora minorenne. Per questa relazione i rapporti con la famiglia di lei erano tesi, nonostante gli anni passati. Soprattutto quelli con il suocero, a cui però Gleboni non ha sparato. «Roberto era una persona tranquillissima, molto disponibile. Giorni fa mi avevano rubato la macchina e lui mi voleva prestare la sua, sapendo che mi serviva», dice il vicino di casa Armando Lodi. «Una persona tranquilla, disponibile con il prossimo e amante degli animali. Era un operaio forestale, guidava i mezzi». Ma c’è chi racconta altro: «Spesso urlava. A volte sembrava prepotente e quasi esaltato», dice al Corriere una persona vicina alla famiglia.

Possessivo e maniaco del controllo

Secondo questa testimonianza Gleboni «era possessivo e aveva una mania di controllo smodata, soprattutto su moglie e figli». Anche se era incensurato e suo carico non c’erano mai state denunce o segnalazioni per atteggiamenti violenti in famiglia. Anzi, la figlia Martina aveva dedicato la sua laurea ai genitori: «A mia madre, che ci ha creduto prima che ci credessi io. A mio padre, l’amore più grande della mia vita». «Mai sentito nulla, un litigio un problema», spiega un anziano che abita al primo piano di una palazzina limitrofa a quella della strage. «Roberto era il più socievole, si fermava a parlare con noi. Due giorni fa li ho visti insieme, Roberto e la moglie, mentre tornavano dal supermercato dove avevano fatto la spesa. Stamattina tuonava e non ho sentito gli spari, ci siamo accorti di quello che era successo dalle sirene delle ambulanze».

L’indagine

Per provare a chiarire cosa sia successo nell’appartamento dell’orrore saranno sentiti nuovamente parenti, amici e vicini di casa della coppia e ma gli inquirenti attendono anche il racconto dei sopravvissuti. E nuovi elementi potrebbero arrivare dalle autopsie sui corpi delle vittime e dell’omicida. «Sembravano una coppia affiatata, mia figlia che abita al piano di sopra non ha mai sentito un dissidio familiare in questa famiglia. La moglie poi era gentilissima: sabato scorso era salita nell’appartamento di mia figlia che aveva avuto problemi di salute per misurarle la pressione. Quello che è successo non ha una giustificazione c’è solo dolore», dice un’altra vicina.

Sparare per uccidere

Di certo c’è che l’operaio forestale, quando ha sparato con la sua semi automatica 7.65, ha colpito tutte le vittime alla testa, come se ci fosse una determinazione nel voler sterminare tutta la famiglia. Con la stessa foga ha colpito il vicino di casa. Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta dell’Università La Sapienza di Roma, dice oggi a La Stampa che «Spesso la famiglia nasconde, sottovaluta i segnali. Ma dobbiamo sempre tenere presente che ogni caso è a sé e dobbiamo capire bene la situazione di quest’uomo. Potrebbe essere stato depresso, e quando la depressione è gravissima si può arrivare anche a questo. Non per fare del male, ma per salvare i propri cari. Il depresso può pensare che non vale la pena vivere e che i familiari non potrebbero sopravvivere, o stare bene, senza di lui».

La depressione e la rottura psicotica

Secondo la professoressa «un depresso gravissimo può vedere la morte come una liberazione. Si può avere una visione frammentata della realtà, in cui non si connettono le emozioni con i valori e le esperienze». E poi c’è l’emulazione: «Queste storie vengono raccontate molto sui media e rimbalzano sui social. Una persona con una fragilità emotiva o mentale può pensare che allora si può fare». Un malessere che può anche essere ignorato: «Non siamo abituati a occuparci di chi ci sta vicino, ma certo accorgersi e segnalare un malessere di un amico o di un parente può salvare delle vite».

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