In Libano già 100mila sfollati. Baldini (Relief International) a Open: «Arrivano senza nulla e angosciati per l’escalation»
«È solo l’inizio». L’allarme lanciato dalle Nazioni Unite dopo i massicci bombardamenti israeliani in Libano è chiaro. La temuta escalation nel Sud del Paese potrebbe salire drammaticamente di livello da un momento all’altro. Israele è pronto a invadere via terra. Lo ha ribadito all’Onu il premier Netanyahu: «Continueremo finché non raggiungeremo i nostri obiettivi. Finché Hezbollah sceglie la guerra, Israele non ha alternative». Un copione che per molti analisti sembra ripetere quanto accaduto a Gaza: gli attacchi prolungati dell’esercito israeliano alle postazioni nemiche per aprire la strada alle truppe di terra, la mobilitazione dei riservisti e la richiesta di evacuazione alla popolazione. Dal 7 ottobre scorso Hezbollah, milizia sciita radicale sostenuta dall’Iran, è intervenuta nel conflitto in corso tra Israele e Hamas con l’intento di dare sostegno all’alleato palestinese. Ma gli scambi di fuoco sulla linea di demarcazione vanno avanti da decenni. Il botta e risposta si è intensificato negli ultimi giorni, anche in seguito agli attacchi attribuiti a Israele contro i dispositivi per le comunicazioni del “Partito di Dio”. E a cui gli stessi miliziani filo-iraniano stanno rispondendo colpo su colpo, inondando di razzi la Galilea e arrivando persino a lanciare per la prima volta un missile balistico su Tel Aviv.
«Le persone hanno paura dell’incertezza del futuro»
A pagarne le conseguenze sono sempre i civili. Mentre si cerca di capire l’entità dell’attacco avvenuto a Beirut, le offensive israeliane in corso nel Sud del Libano, ma che hanno raggiunto anche l’Est e il Nord-Est, hanno provocato più di 700 morti, tra cui donne e bambini, e migliaia di feriti. Mentre il numero di sfollati «ha superato di gran lunga le 100mila unità», dice a Open il direttore per il Libano della Ong Relief International Giacomo Baldini. «Le persone sono costrette a fuggire a Beirut, Chouf, Aley e nel Nord del Paese nella speranza di sfuggire alle violenze in corso, nel Sud e nel Dahyie». Libanesi, palestinese e siriani, costretti a lasciare nuovamente le proprie case, che «arrivano nei rifugi collettivi con pochissimo e hanno un disperato bisogno di beni di prima necessità come materassi per dormire e sapone per lavarsi. Noi stiamo lavorando a stretto contatto con il ministero della Salute e con il resto della comunità umanitaria per rispondere a questa crisi – afferma -: forniamo kit sanitari e igienici alle comunità sfollate e stiamo coordinando il modo migliore per fornire assistenza a lungo termine». «Le persone sono angosciate: hanno bisogno di sostegno anche per la salute mentale – spiega Baldini -. Hanno paura della violenza, dell’escalation del conflitto e dell’incertezza di ciò che accadrà in futuro». Per questo motivo, servono «ulteriori finanziamenti per sostenere i centri di assistenza sanitaria primaria, per rifornire le forniture mediche e per sostenere le nuove comunità sfollate», sottolinea Baldini.
Le conseguenze catastrofiche
Se da un lato, Israele sembra vicino all’offensiva via terra, nonostante il pressing dell’Occidente per la de-escalation, dall’altro Hezbollah può contare su un ricco arsenale e sull’aiuto degli alleati per rendere difficile l’eventuale avanzata di terra. L’Iran ha, infatti, assicurato di esser pronto «a sostenere i miliziani libanesi con tutti i mezzi». Ma soltanto se la guerra dovesse intensificarsi. Mentre gli Houthi in Yemen, che hanno rivendicato di aver preso di mira le città israeliane di Tel Aviv e Ashkelon con un missile balistico e un drone, hanno garantito che «non si fermeranno finché non saranno terminate le offensive israeliane a Gaza e in Libano». La milizia sciita nel corso degli ultimi trent’anni ha costruito una fitta rete di bunker sotterranei: da tempo si dice pronto a resistere all’invasore, nonostante i pesanti colpi subiti negli ultimi giorni alla sua rete di comunicazione interna. Mentre sul terreno, Hezbollah afferma di poter contare su 100mila combattenti attivi in Libano, sostenuti anche da ausiliari nella vicina Siria. Questo ampio schieramento ha un arsenale stimato, tra missili, anche anticarro, proiettili di artiglieria, razzi di corta gittata, come tre volte maggiore di quello di Hamas a Gaza. Un’eventuale guerra tra Israele e Hezbollah avrebbe, quindi, delle conseguenze catastrofiche. Per decenni il popolo libanese ha affrontato una crisi dopo l’altra senza mai avere l’opportunità di riprendersi completamente. Il Paese, che sta attraversando da anni una crisi economica e sociale senza precedenti, non è amministrato, manca un presidente dal 2022, c’è un governo ad interim. E questa nuova emergenza non farà altro che aggravare la situazione e destabilizzare ulteriormente una regione già fragile. «Per questo motivo chiediamo un’immediata de-escalation, la cessazione delle ostilità e la protezione dei civili. L’accesso umanitario sicuro a coloro che si trovano ancora nelle aree colpite e nei rifugi collettivi rimane fondamentale», conclude il capo missione di Relief International.
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