«Tutto questo è mio e lo porto via con me»: perché Roberto Gleboni ha fatto una strage a Nuoro
Una persona «possessiva e con la mania del controllo su moglie e figli». Così gli amici descrivono oggi Roberto Gleboni, che ha ucciso moglie, figli e vicino di casa nella strage familiare di Nuoro. E poi c’è la passione per le armi. Una calibro 7,65 con la quale ogni tanto si allenava al poligono. E che è servita per sparare ai suoi familiari. Ma secondo altri quella di Gleboni era invece una famiglia modello. Anche se nell’ultimo periodo le liti erano aumentate. Per questo adesso gli inquirenti stanno cercando di capire se la strage sia dovuta a uno stato patologico latente. L’operaio della Forestas aveva un fratello con un disturbo psichiatrico accertato. Proprio quest’ultimo quel giorno aveva fatto visita alla madre, Maria Esterina Riccardi. Ma è uscito mezz’ora prima che arrivasse il fratello.
Le indagini
Gleboni aveva conosciuto Maria Giuseppina Massetti detta Giusi quando lei era quasi una bambina. Poi la maternità da minorenne e una relazione definita «totalizzante». La donna faceva la casalinga e gestiva la crescita dei figli. Mentre i suoi genitori non avevano mai accettato la relazione con l’uomo. Tanto che tra le due famiglie non c’era alcun rapporto. Di recente, raccontano alcuni vicini, la conflittualità all’interno della coppia era aumentata. Soprattutto «per la forte chiusura dell’uomo nella gestione familiare». Anche se non c’erano richieste di separazione in fieri. Giusi però rivendicava uno spazio maggiore per sé e per la figlia Martina. Questo potrebbe essere stato l’innesco della strage. Sono stati proprio amici e parenti di Giusi a raccontare Gleboni come «una persona possessiva e con la mania del controllo nei confronti di moglie e figli».
L’idea di perdita
Claudio Mencacci, psichiatra, presidente della Società di neuropsicofarmacologia, dice oggi al Corriere della Sera che «siamo di fronte a una furia omicida probabilmente innescata dall’idea di perdita. Un assassino che pensa: tutto questo è mio e lo porto via con me». Anche se il professore spiega anche che «sono quasi sempre i maschi a compiere questi gesti così drammatici e crudeli, come se la loro azione fosse quella di cercare di recuperare un controllo e un potere attraverso la violenza». Perché, aggiunge, «il tema della gelosia intesa come possesso e non come sentimento è spesso alla base di questi crimini. Purtroppo gli omicidi familiari hanno superato il quaranta per cento dei delitti in totale».
Gli omicidi familiari in aumento
Gli omicidi familiari sono in aumento perché «in un’epoca storica contrassegnata fondamentalmente dall’incertezza e dall’imprevedibilità, la famiglia non sta producendo futuro. Viene sempre meno a rappresentare un nucleo protettivo, ma un luogo di disfacimento dove esplode la violenza. Nel passato questa violenza era celata all’interno delle mura di casa, nei rapporti uomo-donna, nelle prevaricazioni che venivano considerate naturali. Oggi di fatto assistiamo a un numero altissimo di delitti familiari che si manifestano in tutto il loro aspetto orrifico». Mentre le frasi dei vicini sulla famiglia perfetta vogliono dire «che non riusciamo più a intercettare il disagio, ma anche che nessuno chiede aiuto perché è schiacciato in questa sorta di isolamento e di solitudine».
L’isolamento
Mencacci dice che «tanti vivono isolati sotto la stessa casa, ognuno con il proprio smartphone, con i propri social, solo con se stesso. Questa non è l’idea della famiglia come condivisione degli affetti, come progettualità della crescita e del futuro. È in atto un cambiamento epocale, siamo di fronte a una giusta, necessaria equiparazione delle funzioni, del rispetto, della dignità e dell’uguaglianza tra uomo e donna, che però spesso viene contestata. Anche la coppia ha bisogno di una nuova narrazione e a volte non riesce ancora a definirsi». Infine: A questo va aggiunto che tutto il nostro sistema di welfare è in crisi. E mi astengo dal parlare di quello sanitario».
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