Il fantomatico “studio” sul «contenuto criminale dei sieri» Pfizer e Moderna

La pubblicazione non dimostra la presenza di strutture misteriose nei vaccini

Circola uno “studio” della IJVTPR. Si tratta di una rivista molto apprezzata negli ambienti No vax, che parla di «autoassemblaggio in tempo reale di costruzioni artificiali visibili allo stereomicroscopio in campioni incubati di prodotti mRNA principalmente da Pfizer e Moderna». Termini altisonanti che non promettono niente di buono sui vaccini Covid, ancora associati alla presenza “maligna” del fantomatico grafene. Tra i diffusori di questa ricerca troviamo anche Rosario Marcianò, un noto guru della teoria del complotto delle Scie chimiche, già condannato in via definitiva per aver diffuso falsità riguardo l’uccisione di Valeria Solesin.

Per chi ha fretta

  • La ricerca è stata criticata per il metodo discutibile con cui è stata condotta e l’inadeguatezza degli autori nel condurla.
  • Sono gli stessi firmatari dello studio ad ammettere, in un articolo di replica, di non essere stati in grado di dimostrare la loro interpretazione di quanto osservato.

Analisi

Nel condividere l’abstract dello studio in oggetto, Marcianò lo presenta come «Studio scientifico di 65 pagine sul contenuto criminale dei sieri!!!!». Visto che la scienza non si fa contando le pagine che vengono riempite nel prossimo paragrafo entreremo nel merito del metodo utilizzato per produrre i risultati. Evidenziamo intanto in grassetto i punti salienti, gli eventuali errori di traduzione sono dovute a chi ha diffuso il contenuto online:

Analisi sistematiche di lesioni osservabili in tempo reale a livello cellulare nei destinatari di iniettabili COVID-19 “sicuri ed efficaci” sono pubblicate qui per la prima volta in un contesto sottoposto a revisione paritaria. La somministrazione globale di questi prodotti spesso obbligatori dalla fine del 2020 ha innescato una pletora di studi di ricerca indipendenti sulle terapie geniche iniettabili con RNA modificato, in particolare quelle prodotte da Pfizer e Moderna. Il contenuto degli iniettabili COVID-19 è stato esaminato al microscopio stereoscopico con un ingrandimento fino a 400X. Campioni accuratamente conservati sono stati coltivati in una gamma di terreni distinti per osservare relazioni causa-effetto immediate e a lungo termine tra gli iniettabili e le cellule viventi in condizioni attentamente controllate. Da tale ricerca, si possono trarre inferenze ragionevoli sulle lesioni osservate in tutto il mondo che si sono verificate da quando gli iniettabili sono stati premuti su miliardi di individui. Oltre alla tossicità cellulare, i nostri risultati rivelano numerose entità artificiali autoassemblanti visibili, nell’ordine di 3~4 x 106 per millilitro di iniettabile, che vanno da circa 1 a 100 µm, o più, di molte forme diverse. C’erano entità simili a vermi animati, dischi, catene, spirali, tubi, strutture ad angolo retto contenenti altre entità artificiali al loro interno e così via. Tutti questi sono estremamente al di là di qualsiasi livello di contaminazione previsto e accettabile degli iniettabili COVID-19 e gli studi di incubazione hanno rivelato l’autoassemblaggio progressivo di molte strutture artefattuali. Con il passare del tempo durante l’incubazione, le semplici strutture mono e bidimensionali nell’arco di due o tre settimane sono diventate più complesse in forma e dimensioni, sviluppandosi in entità stereoscopicamente visibili in tre dimensioni. Assomigliavano a filamenti, nastri e fettucce di nanotubi di carbonio, alcuni dei quali apparivano come membrane trasparenti, sottili e piatte, e altri come spirali tridimensionali e catene di perline. Alcuni di questi sembravano apparire e poi scomparire nel tempo. Le nostre osservazioni suggeriscono la presenza di un qualche tipo di nanotecnologia negli iniettabili COVID-19.

Aggiungiamo che all’interno dello studio ci sono riferimenti al grafene, soprattutto negli studi citati tra le reference. Se ne parla anche nel paragrafo della discussione (il grassetto è nostro):

Questo processo di morfologia dinamica e mutevole rappresenta un significante chiave di un altro tipo di schema di riciclaggio probabilmente correlato all’iniezione e alla produzione di estratti di pelle osservabili da studi di incubazione a lungo termine. Inoltre, i fasci e i nastri potrebbero essere in silice più resistente e duratura, oppure potrebbero essere nanotubi polimerici rivestiti di grafene sintetico o nanofili simili che fungono da conduttori o semiconduttori in grado di resistere a temperature da 1000°C a 4000°C, secondo la letteratura di ricerca pertinente (Hagimă, 2023b).

Chi ha pubblicato lo studio

Prima di entrare nel merito della ricerca citata da Marcianò, ricordiamo che la rivista International Journal of Vaccine Theory, Practice, and Research (IJVTPR) è ormai nota per la pubblicazione di articoli dai metodi quantomeno “discutibili” dal punto di vista del metodo scientifico, che rispecchiano una visione “scettica” nei confronti dei vaccini, al punto da essere apprezzata negli ambienti complottisti e No vax. Trovate alcuni esempi qui, qui e qui. Tra i membri dell’editorial board troviamo per esempio Antonietta Gatti e Stefano Montanari, noti per aver diffuso diverse affermazioni scientificamente “controverse”.

Sono diversi i punti che ci lasciano perplessi. Per esempio si citano i lavori di Pablo Campra e colleghi, lodando la presunta “potenza” degli strumenti da loro utilizzati:

Il fatto che tale nanotecnologia sia presente negli iniettabili COVID-19 è stato discusso per la prima volta, crediamo, da Campra e colleghi (2021a, 2021b; Spectroscopy & Campra, 2021) ed è stato seguito da Yanowitz (2022a, 2022b, 2023a, 2023b) come documentato in parte da Hughes (2022) con 26 riferimenti a Campra et al. e 26 ai primi lavori di Yanowitz. Campra et al. hanno utilizzato metodi e apparecchiature spettroscopiche molto più potenti, rivelando quelle che sembravano entità programmabili a livello nano.

Degli “studi” di Campra e della microscopia utilizzata avevamo trattato in precedenza, avvalendoci della consultazione di esperti e della presa di distanze dello stesso Ateneo a cui si poggiavano Campra e colleghi (per esempio qui, qui e qui). Avevamo visto che si tratta di lavori dai metodi discutibili, che non dimostravano niente, se non le potenziali contaminazioni o artefatti visibili in microscopia. Le stesse immagini mostrate nel documento in oggetto, come quelle che si vedono a pagina 12 e 13, sono compatibili con quelle prodotte da chi suggerisce la presenza di tali «nanotecnologie» nei vaccini a mRNA.

I limiti dello studio

Al solito, come nello “studio” citato da Marcianò ci troviamo di fronte ad analisi condotte senza reali controlli. Gli autori sostengono di aver ottenuto, non si capisce come, «50 fiale iniettabili residue (43 Pfizer, 7 Moderna) acquisite immediatamente dopo il loro utilizzo nella campagna di vaccinazione» e dobbiamo fidarci del loro stato di conservazione, nonostante parlino loro stessi di materiale non certo “di prima mano”. A queste si aggiungono «4 fiale iniettabili nuove non aperte (2 Pfizer, 1 AstraZeneca, 1 Novavax)», anche in questo caso occorre sospendere la nostra incredulità e assumere che siano rimaste in un buon stato di conservazione.

Sappiamo solo che «i fluidi residui nelle fiale sono stati conservati a -20 °C in un congelatore da laboratorio per uno studio successivo». Il problema è che sono state già utilizzate, dunque non più conservate per un certo lasso di tempo non meglio definito. «Successivamente, dopo lo scongelamento, i campioni residui sono stati posti in vari terreni di coltura per l’osservazione a lungo termine». Tali osservazioni sono state fatte mediante uno «stereomicroscopio Olympus».

Il presunto controllo a cui si fa riferimento è stato fatto confrontando campioni di sangue presi da un non vaccinato e da dei vaccinati. Questo a cosa dovrebbe servire? Non si menziona un cieco, né si parla di altre fiale di farmaci usati per fare un vero confronto.

I chiarimenti della ginecologa e del linguista autori del paper

Quanto siamo d’accordo nel ritenere che i titoli nella scienza non contino, dobbiamo far notare che i firmatari del documento sono la ginecologa Youngmi Lee e il professore di linguistica applicata Daniel Broudy, i quali effettivamente riconoscono loro stessi di non essere stati in grado di fare alcuna scoperta. Lo hanno fatto rispondendo ai critici sulla stessa rivista IJVTPR, con un articolo dello scorso 17 settembre. Prendiamo per esempio il seguente passaggio, dove gli autori scelgono di rispondere esclusivamente alla professoressa Anne Ulrich, che ritengono essere stata tra tutti i critici, la più paziente nel spiegare come possono essere interpretate le immagini prodotte nella ricerca (una spiegazione che si corrobora con quelle che abbiamo riportato anche noi nelle nostre precedenti analisi):

«Abbiamo proposto che i componenti autoassemblanti possano essere coerenti con le nanotecnologie rilevanti per l’Internet dei corpi. Ulrich, al contrario, sostiene che derivino da nanoparticelle lipidiche e ingredienti di colesterolo delle piattaforme iniettabili modRNA. In assenza di analisi compositiva, che è imminente, nessuna delle due interpretazioni può essere definitivamente esclusa o esclusa basandosi esclusivamente sui dati osservativi ottenuti finora».

Degni di nota anche i potenziali bias ideologici presenti nelle conclusioni dell’articolo di risposta. Riportiamo giusto alcuni passaggi, frutto della citazione e rielaborazione di altri autori, che ricordiamo essere stati riportati per una rivista la quale si ritiene scientifica:

«Nei vent’anni precedenti, le grandi aziende biotecnologiche avevano sempre più influenzato il tipo di scienza e ricerca scientifica che veniva finanziata, il che ha contribuito a garantire… la loro sopravvivenza e prosperità […] stiamo perdendo il nostro diritto all’autodeterminazione e all’autosufficienza in ogni aspetto della nostra vita quotidiana […]. Come possono i ricercatori ancora dotati del potere di osservazione continuare a sostenere che le bioscienze tradizionali siano l’unico modo per condurre e interpretare le indagini contemporanee? Ho evidenziato una questione chiave, apparentemente irrisolvibile nell’epoca attuale: la ricerca della conoscenza intimamente legata alla ricerca del guadagno monetario».

Conclusioni

Abbiamo visto che l’articolo promosso da Marcianò è uno “studio” dai metodi controversi, accettato per la pubblicazione da una rivista già nota per precedenti pubblicazioni criticate per i contenuti ritenuti pseudoscientifici. Nel caso in oggetto sono gli stessi autori – per altro provenienti da discipline lontane dall’argomento trattato -, a riconoscere di non aver fatto alcuna scoperta, riconoscendo la legittimità delle critiche mosse dagli esperti. Inoltre, tra le reference troviamo altre pubblicazioni di dubbia validità scientifica, come gli studi condotti da Campra.

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