Vittorio Feltri e i ciclisti investiti: «Ormai non si può dire più nulla»

Il consigliere FdI: sono gli idoli della sinistra ma non è vero che combattono il riscaldamento globale

Vittorio Feltri torna sui ciclisti che gli piacciono «solo se investiti». Rispondendo a una lettera sul Giornale che gli esprime solidarietà, Feltri dice che non corregge quello che ha detto ma lo ribadisce. Perché «a Milano le piste ciclabili rappresentano trappole mortali. Sono disegnate sull’asfalto senza criterio e la loro mancanza di logicità non fa altro che acuire il convincimento, in chi adopera la bicicletta per muoversi o anche il monopattino, di non dovere osservare alcuna basilare norma stradale, come – e menziono quella più terra terra il rispetto della precedenza».


Le biciclette

Feltri dice che si ritrova «biciclette e monopattini a destra e a sinistra della mia automobile, cosicché, quando scatta il verde e mi accingo a svoltare a destra, mi capita di frequente di vedere ciclisti che sfrecciano tagliandomi la strada, come se si lanciassero addosso alle vetture. Passano con il semaforo rosso, camminano davanti alle auto rallentando il traffico, anche contromano nel bel mezzo della via». I ciclisti non si toccano, secondo lui, perché «c’è il convincimento che essi salveranno il pianeta dal riscaldamento globale, sono ritenuti soggetti virtuosi, gente di sinistra, non rozza e ignorante come quelli che invece vengono indicati quali «fascisti» soltanto perché votano a destra».


L’oscurantismo

Invece, secondo Feltri, «la diffusione dell’utilizzo della bici non ha migliorato la qualità dell’aria ma ha portato alla crescita del numero di morti e feriti, sulle strade cittadine, di quanti si spostano sulle due ruote ecologiche. Lungi dall’augurare il decesso ai ciclisti, la mia è stata una battuta forse troppo macabra, per questo fuori luogo, forte, ma ormai non si può più dire nulla, tutto suscita riprovazione. Stiamo lì a pesare ogni sillaba in cerca di una scusa qualsiasi per colpire colui che la pronuncia. Abbiamo acquistato il gusto della indignazione, del processo mediatico, della macellazione. È il trionfo di un moralismo esasperato, ostentato, intransigente, che non è sintomo di progresso etico, semmai di oscurantismo».

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